Oltre i numeri
A fine 2020 i migranti forzati erano più di 82 milioni e certamente il 2021 e il 2022 sono stati due anni segnati da sconvolgimenti che ne hanno generati di nuovi.
Il 2021 registra la fuga dall’Afghanistan dopo la rovinosa uscita di scena degli Stati Uniti e la presa del potere da parte dei Talebani; il 2022 registra l’aggressione russa dell’Ucraina, che a inizio aprile provocava un esodo di più di 4,2 milioni di persone, soprattutto nei Paesi confinanti: Polonia, Romania, Moldova e Ungheria.
Le persone tendono a spostarsi dapprima all’interno del Paese e successivamente nei Paesi limitrofi; per questo l’86,2% dei migranti forzati si trova nei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo” e non nel ricco Occidente. Contestualmente, i Paesi del “Nord del mondo” negli ultimi decenni raramente hanno applicato politiche di apertura a chi arriva nei loro territori.
Dalla teoria alla pratica
In linea teorica, i Paesi che hanno sottoscritto l’accordo di Ginevra dovrebbero applicare il principio di non refoulement (non respingimento) e dare l’opportunità di chiedere l’asilo a coloro che ne esprimono volontà, ma questo non sempre avviene.
Nei confronti di chi arriva attraverso i Balcani, anche da Paesi martoriati come l’Afghanistan, l’Italia applica respingimenti alla frontiera indiscriminati, pur nella consapevolezza delle violenze e delle condizioni che fronteggiano le persone respinte. Il medesimo fenomeno avviene con il finanziamento della guardia costiera libica, che riporta sulle proprie coste, già note per violenze e torture, coloro che tentano di attraversare il Mediterraneo.
Criminalizzazione della solidarietà...
Negli ultimi anni le organizzazioni che fornivano supporto a coloro che attraversavano le “frontiere calde”, come quelle con la Slovenia, con la Francia e l’ampia frontiera con il Nord Africa nel Mar Mediterraneo, sono state spesso criminalizzate, anche con norme approvate ad hoc.
Per un certo periodo è stato addirittura teorizzato che l’eccessivo avvicinamento delle imbarcazioni di soccorso alle coste africane potesse incentivare le migrazioni e che le ong fossero complici dei trafficanti. Fino al 2019 ricorrevano “sequestri in mare” delle persone, anche minori e vulnerabili, sulle imbarcazioni di salvataggio e le polemiche sulla spesa di “35 euro al giorno” per l’accoglienza animavano il dibattito politico.
… e gara di accoglienza
Lo scoppio di un conflitto nel cuore dell’Europa cambia la situazione: il 24 febbraio 2022 la Russia attacca l’Ucraina e immediatamente si moltiplicano gesti di solidarietà verso la popolazione civile. L’Unione Europea accorda la protezione temporanea alle persone in fuga, attivando una direttiva di vent’anni fa rimasta inutilizzata; tantissime persone intervengono per dare il proprio contributo con gesti importanti di solidarietà, come donazioni e trasporto con propri mezzi di chi raggiunge familiari e conoscenti nei vari Paesi dell’Ue. C’è chi offre alloggio e chi un lavoro. Alle persone in fuga il governo italiano prevede di fornire anche un sussidio, per quanto modesto e temporaneo.
Perché nel caso di coloro che fuggono dall’Ucraina il trattamento è diverso? È davvero cambiata la sensibilità della popolazione?
Forse i sentimenti e le azioni di accoglienza possono spiegarsi con la sensazione di familiarità: la comunità ucraina in Italia conta 236.000 persone, e molte di loro svolgono lavori domestici all’interno delle nostre case. Nell’ambito della diaspora, la comunità ucraina in Italia è la quarta del mondo per consistenza (dopo Russia, Stati Uniti e Kazakhstan) e nella regolarizzazione 2020 in Italia quella ucraina è stata la nazionalità più rappresentata, confermando una considerevole immigrazione ancor prima della guerra. Contestualmente le reti solidali tra connazionali hanno funzionato bene nell’emergenza.
Due pesi e due misure?
Un’altra spiegazione che si può avanzare per spiegare l’improvviso moto di solidarietà è che si tratti di persone europee, quindi considerate “più affini” dalla popolazione italiana. Ma vi sono altre nazionalità europee molto consistenti in termini di presenze nel nostro Paese, come quella rumena, che hanno vissuto momenti di forte razzismo, per cui questa non è una spiegazione sufficiente.
Altra spiegazione che si può avanzare è che nel caso degli arrivi dall’Ucraina si tratta per la maggior parte di donne, bambini e bambine, nello specifico bianche, categorie verso le quali è più frequente riscontrare solidarietà rispetto agli uomini.
Purtroppo, coloro che hanno fatto più fatica a lasciare quel Paese sono stati gli studenti “neri” di origine africana che vi soggiornavano. È stato rilevato da più fonti che venivano fatti uscire con maggior difficoltà, seppur anch’essi scappassero dalle medesime bombe. A Palermo vi è stato anche il caso della persona che aveva dato disponibilità ad accogliere due persone in fuga dall’Ucraina, ma una volta venuta a sapere che si trattava di “neri”, ha deciso di ritrattare.
Sembra che il colore della pelle abbia ancora un peso notevole sulle possibilità cui hanno accesso le persone, non solo nella vita di tutti i giorni ma anche quando è in gioco la loro stessa sopravvivenza.