Febbraio 1992. La legge stabilisce che la cittadinanza italiana si può acquisire soltanto se si nasce o se si viene adottati da cittadini italiani. Una legge che quest'anno ha compiuto trent'anni e che, nell'arco di tutto questo tempo, non ha subito alcuna sostanziale modifica.
Marzo 2022. Viene votato in bozza in Commissione lo ius scholae, che permetterebbe ai figli di genitori stranieri di acquisire la cittadinanza italiana, purché nati e residenti in Italia e con una frequenza scolastica di almeno cinque anni. Il percorso è aperto anche ai minori di 12 anni.
A maggio si è aperto il mese delle mobilitazioni studentesche: la maggioranza dei ragazzi e delle ragazze italiane si schiera a favore dello ius scholae e chiede al Parlamento che diventi legge. Motivati dalle storie di alcuni dei loro coetanei e coetanee, fanno sentire la loro voce per dire no alla discriminazione: ostacolati da una legge vecchia trent'anni, sono ancora molti gli studenti e le studentesse ai quali, per motivi di cittadinanza, vengono negati servizi dei quali invece possono godere i compagni italiani.
La legge 91/1992 necessita di un'importante revisione, non soltanto perché tre decenni sono decisamente troppi per non ritornare a discutere di un fenomeno in continua evoluzione, ma anche e soprattutto perché sono gli adulti di domani a chiederlo e a volerlo.
Studenti e studentesse sono per la stragrande maggioranza d'accordo nell'approvazione dello ius scholae: «Da oggi torniamo nelle scuole e nelle piazze per un mese di mobilitazioni, fino all’approvazione della riforma. Sui nostri social abbiamo già lanciato una nuova challenge con l’hashtag #ItaliaDimmiDiSì, anche utilizzando TikToK per coinvolgere i più giovani» dichiara Eva Ugiagbe, attivista della Rete per la riforma della cittadinanza. La challenge ha anche un suo spot, ispirato alla scena di un famoso film inglese.
Mentre i giovani e le giovani d'Italia si mobilitano per uno stato più intregrato, il governo italiano sembra paralizzato di fronte ai progressi del resto del mondo: dal 17 al 20 maggio si è svolto a New York l’International Migration Review Forum (IMRF), il primo forum di revisione del Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (GCM). Già nel 2018 – data in cui il patto è stato stipulato – il governo Conte aveva deciso di non sottoscrivere l'accordo e, a distanza di quattro anni, l'Italia continua a voler restare esclusa da una gestione condivisa a livello mondiale sul fenomeno migratorio.
Un Paese in cui oggi la presenza straniera costituisce circa il 10% della popolazione non può permettersi di restare sordo alle richieste di chi quella presenza la vive.
Tra i giovani si respira voglia di integrazione e non c'è punto di partenza migliore per guidare il Paese verso una sana e genuina evoluzione.