Nella pubblica opinione la tratta di persone, attività criminale attualmente al centro del dibattito politico globale, viene sempre più associata alle migrazioni, ovvero a quel fenomeno, vecchio come il mondo, che l’impressione che migrare sivede una persona spostarsi per andare a risiedere in un Paese diverso da quello di origine. Ne deriva l'impressione che migrare sia divenuto per sé un atto illecito.
E non è raro sentir parlare di tratta di persone e di traffico di migranti come se fossero sinonimi. In realtà la normativa internazionale ha fatto una netta distinzione fra questi due atti criminali, sempre più equiparati al commercio di schiavi del passato. Questi accostamenti, purtroppo, sono fuorvianti.
“Traffico” di migranti e “tratta” di persone
Il traffico di migranti implica accordi consensuali fra chi non possiede i requisiti per attraversare un confine internazionale e individui, noti come trafficanti o passeur, che offrono trasporto e altri servizi per attraversare quel confine in modo illegale.
La tratta di persone, invece, implica costrizione o inganno e mira allo sfruttamento della vittima: le persone vengono attirate e intrappolate in situazioni di violenza e abuso.
Sebbene la tratta si realizzi anche entro i confini nazionali, oggi è sempre più associata ai flussi migratori, e seppure ben diversa dal “contrabbando” o traffico di migranti, può essere come questo spiegata nel più ampio contesto dell’economia globale.
Il nuovo ordine economico
La tratta è connessa ai cambiamenti determinati dalla globalizzazione: il 15 aprile 1994 l’Accordo di Marrakech costituiva l’Organizzazione internazionale del commercio (Wto) postulando la progressiva liberalizzazione nella circolazione delle merci, dei capitali e dei servizi. Il nuovo ordine economico prevede una progressiva riduzione dell’intervento statale in economia, perché di ostacolo alla libera espressione delle dinamiche del mercato.
Fra vincenti e perdenti
La crescente interdipendenza economica degli ultimi 25 anni si è basata sulla promessa implicita che prosperità, sicurezza e buon governo avrebbero raggiunto le persone nel loro Paese. E questa promessa ha mantenuto i livelli globali di migrazione estremamente bassi, nonostante la riduzione del costo del trasporto e il crollo delle vecchie barriere ideologiche abbiano reso più facile viaggiare.
Dal 1960 ad oggi, infatti, la percentuale della popolazione mondiale che risiede in un Paese diverso da quello di origine – i migranti – si è mantenuta stabile, circa il 3%. Certo ci sono più migranti in termini reali perché il livello globale della popolazione è aumentato. Tuttavia, sebbene milioni di persone siano emerse dalla povertà, l’aspettativa che la globalizzazione avrebbe generato prosperità e buon governo ha lasciato posto a un senso di crescente delusione.
Le diseguaglianze di reddito, educazione e assistenza sanitaria fra chi ha e chi non ha sono addirittura aumentate tra Paesi e all’interno di uno stesso Paese. Il rapporto Oxfam 2017 denuncia: «La mancanza di azioni decisive a sostegno di chi subisce gli effetti collaterali della globalizzazione ha creato un mondo di vincenti e perdenti». Oggi la diseguaglianza è il grande motore della mobilità umana.
Politiche miopi
La globalizzazione ha favorito rotte migratorie progressivamente più diversificate. Oltre alle tradizionali destinazioni del “Nord Globale” nuovi Paesi sono diventati mete ambite dei flussi migratori, e dal 2000 la migrazione “Sud-Sud” ha superato in termini numerici quella “Sud-Nord”.
Tuttavia, in concomitanza con la liberalizzazione dei mercati internazionali e la delocalizzazione dei processi produttivi non è avvenuta una altrettanto marcata liberalizzazione della mobilità umana, in particolare per la forza lavoro.
Mentre merci e capitali si muovono senza confini attraverso canali sicuri e a costi sempre più contenuti, chi desidera emigrare affronta crescenti difficoltà a lasciare il proprio Paese e raggiungere la destinazione desiderata. Mentre i flussi umani sono aumentati all’interno dei mercati regionali (Ue, Mercosur, Ecowas, Asean), la migrazione interregionale e transnazionale ha incontrato ostacoli crescenti. Ottenere i documenti necessari, quali passaporti, visti e permessi di soggiorno e di lavoro, è davvero arduo per chi proviene da certi Paesi del mondo (mappa).
Una domanda intercettata dal crimine
Privato di modi legittimi per spostarsi e lavorare, un crescente numero di persone ricorre a intermediazioni che facilitino la loro migrazione e occupabilità all’estero. Le restrizioni imposte dagli Stati hanno fatto crescere la domanda di trasporto e impiego di manodopera, subito intercettata dalle organizzazioni criminali, che provvedono un servizio dove le leggi dello Stato sono inadeguate e sfruttano a proprio vantaggio il potenziale di questo “mercato umano”.
Nella situazione di irregolarità gestita dalle reti criminali, le persone sono ridotte a merce: prive di documenti, sono esseri pressoché invisibili, “inesistenti” per la legge o addirittura criminalizzati, perché molti Paesi hanno istituito il reato di immigrazione irregolare “criminalizzando” il migrante, contrariamente a quanto prevede la normativa internazionale che considera criminali i trafficanti e i facilitatori.