Il Patto globale (Global Compact) sottoscritto il 10 dicembre 2018 da 164 Stati membri dell’Onu è pragmatico: ha obiettivi e impegni di largo respiro, alcuni non ancora applicabili in vari Paesi, ma indica nondimeno azioni che possono avere ricadute concrete sul territorio.
Più si conosce…
Il primo obiettivo del Patto globale è l’istituzione di banche dati precise e aggiornate che rendano possibile l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Parlare di migrazioni senza cadere in discussioni ideologiche è difficile: il taglio economicista del Patto incoraggia un approccio più pratico e attento alla situazioni specifiche per diverse regioni del pianeta. L’insistenza su dati precisi (1), informazioni accurate (3) e documenti adeguati (4) facilita la possibilità di abbinare domanda e offerta di lavoro.
Le banche dati, però, non sono né disponibili né tantomeno accurate in tutti i Paesi firmatari. All’inizio di questo millennio la manodopera non qualificata arrivava in Italia da Marocco, Gambia, Senegal, Mali, e da altri Paesi che negli anni Settanta e Ottanta non avevano anagrafe. Da allora le banche dati sono decisamente migliorate in alcune nazioni, ma in altre, soprattutto nelle zone rurali, ancora molte persone non vengono registrate alla nascita. Circa la presenza di dati precisi, in Italia abbiamo quelli dei richiedenti protezione internazionale forniti dalla Commissione nazionale, ma non abbiamo, per esempio, quelli relativi alle pronunce dei giudici a seguito dei ricorsi.
… meglio si opera
In Italia, come in Europa, attualmente mancano canali adeguati di immigrazione regolare. Le “carte blu” sono permessi di ingresso riservati a personale altamente qualificato, la cui selezione risulta agevole già dal Paese di origine grazie a titoli di studio ed esperienze lavorative acquisite: non sono vincolati dalle quote del Decreto flussi e possono essere rilasciati in qualsiasi momento, con una procedura dedicata per il riconoscimento del titolo accademico.
Abbinare domanda e offerta risulta invece ben più difficile quando si tratta di lavori poco qualificati, per i quali non esistono titoli da esibire. Il Decreto flussi, introdotto nel 1998 dal testo unico sull’immigrazione, derivato dalla Legge Turco-Napolitano, prevede ingressi annuali per lavoro stagionale, lavoro a tempo indeterminato e quote nazionali, ma non rende possibile un periodo di prova per verificare l’idoneità al lavoro. Le sponsorizzazioni, che la Legge Turco-Napolitano aveva introdotto come modalità di ingresso regolare e con limite di tempo, sono state abolite nel 2002 dalla Legge Bossi-Fini. Al presente si entra in Italia con visto di lavoro da Paesi “ricchi”, il cui passaporto garantisce effettiva mobilità, con le “carte blu” o entro le quote del Decreto flussi.
Il Patto globale, con l’obiettivo (5), di «migliorare la disponibilità e la flessibilità dei percorsi per la migrazione regolare», risponde a una necessità reale. Se l’investimento per cercare opportunità di lavoro all’estero è relativamente contenuto, qualora la persona incontrasse difficoltà può tornare in patria e ritentare più tardi o in altra destinazione, ma se l’investimento risulta molto costoso e rischioso, come al presente con il traffico di esseri umani, questa possibilità non esiste più.
Il decreto 113/18, noto come “Decreto Salvini”, divenuto legge il 3 dicembre 2018, rischia di incentivare l’irregolarità piuttosto che la migrazione regolare. Infatti può rimanere legalmente in Italia soltanto chi riceve la protezione internazionale (asilo o protezione sussidiaria) o uno dei quattro permessi speciali che sostituiscono la “protezione umanitaria” e che non sono convertibili in permessi di lavoro, con l’eccezione dell’ultimo: vittime di tratta, violenza domestica e sfruttamento lavorativo; condizioni di salute di eccezionale gravità; calamità naturale nel Paese di origine; straniero che abbia compiuto atti di particolare valore civile.
Dalle intenzioni alle attuazioni
La relazione illustrativa con cui il Decreto Salvini è stato presentato in Parlamento dichiara di voler ridurre le domande di protezione internazionale eliminando la protezione umanitaria, ritenuta troppo generica. Sostituendola con sole quattro situazioni ben definite, però, non garantisce che la norma assicuri la piena applicazione dell’articolo 10 della Costituzione italiana: la protezione umanitaria aveva una formulazione più ampia proprio per rispettare la Costituzione.
Con la Legge Salvini la norma è divenuta troppo restrittiva: per far applicare l’articolo 10, nel rispetto dei trattati internazionali e sovranazionali non recepiti dalle quattro tipologie di protezione previste dalla nuova legge, dovranno intervenire i giudici.
Questa legge, pertanto, contraddice l’obiettivo (12) del Patto globale, ovvero «rafforzare la certezza e la prevedibilità delle procedure per la migrazione al fine di operare le opportune selezioni, valutazioni e attività di orientamento». Venendo meno il ventaglio della “protezione umanitaria” applicata per legge dalle sezioni territoriali specializzate in materia di migrazione, si procederà per via giudiziaria, con ricorso ai tribunali, e i giudizi saranno più complessi, più lunghi e più incerti, sia nella durata sia nell’esito.
L’articolo 10 comma 3 della Costituzione rappresenta il principio fondamentale in base al quale si deve concedere asilo a chiunque non possa nel proprio Paese godere delle libertà democratiche previste dalla Costituzione stessa: la disciplina abrogata (art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98 – protezione umanitaria) con il Decreto Salvini, oggi legge 113/18, unitamente allo status di rifugiato politico e alla protezione sussidiaria, dava attuazione piena al precetto costituzionale. Oggi, invece, vi è maggiore incertezza, data dalla mancanza di una legge ordinaria che disciplini in maniera compiuta un principio costituzionale che ancora oggi è pienamente vigente. Da questo conseguirà maggiore incertezza giuridica e un possibile aumento dei fronti di impugnazione, con una ricaduta diretta sul sistema giudiziario, in termini di risorse come di costi.
Pertanto, la relazione accompagnatoria del Decreto Salvini indica una serie di obiettivi che rischiano di essere invalidati o addirittura contraddetti in fase di applicazione, e il parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura ne spiega in dettaglio le ragioni.
Quale sicurezza?
Il Patto globale invita a (7) «affrontare e ridurre le vulnerabilità nella migrazione» e (16) «mettere i migranti e le società in condizione di realizzare la piena inclusione e la coesione sociale»: modi di incentivare la sicurezza migliorando le relazioni fra individui. Ma come è possibile perseguirla abolendo il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), ovvero il sistema pubblico di accoglienza che fino al 5 ottobre era aperto a richiedenti protezione internazionale e a persone che avevano ottenuto la protezione umanitaria perché considerate “vulnerabili”?
La legge riduce la diaria per ospite destinata ai centri, ai quali non saranno dedicati servizi fondamentali quali l’apprendimento della lingua, l’assistenza legale e l’accompagnamento a un inserimento socio-lavorativo, come fino a ieri previsto. Inoltre, vi saranno risorse dedicate a individuare e assistere persone vulnerabili. Il loro disagio di soggetti traumatizzati potrebbe non venire riconosciuto nei Cas, aumentando così l’insicurezza. Se la Legge Salvini intende ridurre il “business” dell’immigrazione dovrebbe rendere lo Sprar obbligatorio in ogni Comune, piuttosto che ridurlo.Lo Sprar, così come sino ad oggi è stato organizzato, prevede percorsi di inserimento lavorativo in linea con l’obiettivo (18) del Patto globale di «investire nello sviluppo delle competenze e favorire il riconoscimento reciproco di abilità, qualifiche e competenze», e provvede un accesso più controllato al lavoro, in linea con l’obiettivo (6) di «facilitare il reclutamento equo ed etico e salvaguardare le condizioni che garantiscono un lavoro dignitoso», che a sua volta agevola condizioni di vita in cui (19) «i migranti e le diaspore possano contribuire pienamente allo sviluppo sostenibile in tutti i Paesi».
Con la modifica del sistema di accoglienza, così come regolato dalla legge 142/2015, questi obiettivi vengono di fatto vanificati.
Oltre l’emergenza
In Italia l’immigrazione è stata sempre gestita come emergenza: è un vizio del passato e del presente. La materia è spesso regolata con circolari, indicazioni informali e interventi normativi frammentari. Si è vanificato l’intento della Legge Turco-Napolitano (40/1998) di disciplinare, per la prima volta in Italia, in maniera uniforme e razionale la materia. Il Patto globale, invece, cerca di gestire le migrazioni come risorsa e, per questo, con gli obiettivi (9) e (10) chiede di intercettare i canali di sfruttamento criminale che la rendono una minaccia. Inoltre invita (21) a «cooperare nel facilitare il ritorno sicuro e dignitoso e la riammissione, nonché il reinserimento sostenibile», mentre la Legge Salvini trasferisce alle procedure di espulsione i fondi prima destinati al rimpatrio assistito.