Io appartengo ai Kitu Kara, uno dei 18 popoli e 14 nazioni che esistono in Ecuador da molto prima dell’arrivo degli spagnoli: un popolo millenario, con insediamenti umani diffusi su una vasta zona, con centro a Quito. Noi indigeni non pensiamo come individui, esistiamo insieme e rivendichiamo il diritto “ad avere radici” e “a parlare con la nostra voce”. Per questo nell’Ecuador è sorta Miredes – Internacional, una rete di migranti, rifugiati e sfollati che parla con la propria voce.
Per il mio popolo i ritmi della natura sono importanti; per questo molti di noi indigeni ci opponiamo da sempre allo sfruttamento rapace della natura. Io, insieme ad altre e altri, mi impegno a difendere i diritti collettivi di tutta la regione andina. Il Forum sociale mondiale sulle migrazioni (Fsmm) evidenzia che lo sfruttamento delle risorse costringe interi popoli indigeni a emigrare, perché le loro terre vengono espropriate. Noi denunciamo e contrastiamo la terribile violenza di questa migrazione forzata, perché i popoli hanno il diritto di rimanere sulla propria terra; ma desideriamo anche alleviare la sofferenza di chi deve lasciare casa e famiglia, sradicarsi dal proprio territorio ed esporsi a perdere la propria identità.
Oltre ogni discriminazione
Io stessa sono stata discriminata nel mio Paese, perché ho un cognome indigeno. Durante i miei studi chiesi a un dirigente indigeno: «Da quando sei immigrato a Quito?». La sua risposta fu: «Io non sono immigrato; Quito è una città millenaria del mio popolo. Gli immigrati sono altri!».
Come “indigena urbana” sono stata anche vittima di xenofobia, come se stessi invadendo il territorio altrui. Per questo dobbiamo denunciare la voracità del capitalismo, causa di estrema povertà per tanti popoli. I grandi progetti di estrazione mineraria, produzione di legname pregiato o di olio di palma sono spietati: cacciano e schiacciano chiunque opponga resistenza.
Dal mio popolo e dai miei genitori ho ereditato coscienza critica, solidarietà e disponibilità al servizio per difendere la dignità di ogni popolo che la paura della diversità cerca di annientare. Questa diversità, a mio avviso, è invece una grande ricchezza dell’umanità, per questo mi impegno per un Ecuador “plurinazionale” e interculturale, dove vivere con gioia le nostre differenze.
Ancora ai margini
I popoli indigeni, per ristrettezze economiche, sono stati poco presenti a questo Forum. Ho visto Catalina López del Guatemala, che accompagna il Movimento Mesoamericano, ma non ho visto Aida Quinatoa, che in Spagna difende i diritti dei migranti indigeni in diaspora, soprattutto le donne. C’erano i palestinesi e i sindacati del Brasile, gruppi da Colombia, Perù, Argentina e Cile, ma i popoli indigeni messicani, per esempio, non erano adeguatamente rappresentati; avrebbero potuto condividere il loro modo di vedere, di sentire e di “stare” in questo mondo.