In questo periodo ho avuto la possibilità di visitare la prefettura apostolica di Robe. Situata a 2.700 metri d’altezza in una zona remota nel sud dell’Etiopia, si estende su un altipiano che confina con la Somalia e il Kenya. Sono stato accompagnato dallo stesso prefetto apostolico, padre Angelo Antolini, un cappuccino originario delle Marche. È in Etiopia da più di trent’anni. Questa piccolissima esperienza di Chiesa cattolica è una presenza che diremmo insignificante, secondo i nostri parametri efficientisti, eppure brilla di una luce capace di rischiarare il cammino del popolo Oromo e di dare un piccolo, ma significativo, contributo ai percorsi delle nostre comunità cristiane.
Padre Angelo così mi presenta il volto della Chiesa cattolica nella prefettura di Robe:
- È una Chiesa missionaria Che fa questo sparuto migliaio di cattolici immersi e sparpagliati fra quasi quattro milioni di islamici? Si rinchiudono nelle loro briciole di comunità? Si lamentano della loro piccolezza? Si scoraggiano per la loro insignificanza? No! Tutt’altro. Animati ed entusiasti per aver incontrato Gesù, divengono discepoli missionari del Vangelo. Loro, gente fra la loro gente, sono i più patentati annunciatori del Regno. A Robe il Vangelo viene annunciato soprattutto dalla gente comune: laici delle parrocchie invitano i loro conoscenti, amici e parenti, e così la fede si trasmette, per via di una sorta di contagio virtuoso. I mezzi poveri mostrano che la fede si trasmette da testimone a testimone, anche celebrando in una tenda o sotto un albero. La fragilità dei missionari e dei mezzi mostra la loro dipendenza dal Signore.
- È una Chiesa tutta carismatica Essere in pochi spinge lo Spirito a suscitare carismi e inventare ministeri. Chiama tutti e tutte a mettersi al servizio, senza grandi distinzioni fra chierici e laici e, soprattutto, senza concentrare tutto nelle mani dei preti. Animatori, catechisti, coordinatori... ognuno dà una mano, come può e come sa. È vietato rinchiudersi in sé e incrociare le braccia.
- È la Chiesa povera e dei poveri
Non ha potere, non ha forti organizzazioni, non ha soldi; insignificanti, anche se preziosi, sono i pochi spiccioli che si raccolgono come offerte domenicali. È “dei poveri”, perché i fedeli e i catecumeni di queste comunità vivono di lavori precari; sono persone che provengono anche da situazioni di emarginazione e sfruttamento, e le donne si danno da fare in mille modi per provvedere il cibo ai loro figli. «L’indigenza, a volte il freddo e la pioggia, non li tengono lontano dagli incontri – scrive mons. Antonio –, anzi: ci incoraggiano a non demordere e continuare». E don Giuseppe aggiunge: «Un particolare mi colpisce: tra i poveri c’è sempre uno più povero, e non viene lasciato mai solo! Domenica scorsa, alla presentazione delle offerte, si è fatta una colletta particolare per una mamma il cui figlio aveva avuto un incidente stradale ed era ricoverato all’ospedale di una città vicina».
La conversione avviene per amicizia, fiducia e carità. Tutti si sentono accolti, si vogliono bene e si sentono protetti da un Padre che li ama. Per questo ringraziano e vivono in serenità. A chi chiede loro: «perché sei divenuto cristiano?» rispondono con il sorriso negli occhi: «perché ho incontrato gente che si ama e che mi ama!».
Il valore della missio ad gentes
Visitando queste comunità mi chiedo: ha senso essere prete fidei donum, inviato missionario in queste terre di prima evangelizzazione? Ha ancora senso per le diocesi italiane inviare preti e laici in terre lontane e non cristiane? La risposta ci viene dalla diocesi di Padova. Con l’inizio del 2019 ha inviato due giovani preti diocesani, don Stefano Ferraretto e don Nicola De Guio, e la giovane laica Elisabetta Corà, come fidei donum a servizio della prefettura di Robe. Qui, chi vive la missione, uomo o donna che sia, tiene accesa una piccola fiamma e ricorda a tutte le nostre comunità cristiane e ai tanti preti che vivono tra noi che: «L’attività missionaria ad gentes rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa e la causa missionaria deve essere la prima. Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa…Questo compito continua ad essere la fonte delle maggiori gioie per la Chiesa» (Evangelii gaudium n. 15).