L’Italian Hospital of Karak (Ihk) è stato fondato nel 1935 dall’Associazione per soccorrere i missionari italiani (Ansmi), nata dall’intuizione dell’archeologo Ernesto Schiaparelli. Nel contesto islamico, egli comprese l’importanza delle opere di carità per esprimere il messaggio evangelico e sostenere la piccola comunità cristiana, spesso emarginata ed esclusa. La gestione di ogni opera dell’Ansmi viene affidata a una congregazione religiosa.
Gli inizi
Nel 1935 Karak era un piccolo villaggio privo di ogni assistenza medica. L’Ihk è affidato alle Suore del Cottolengo, che però si ritirano nel 1939: tre di loro erano improvvisamente morte di tifo. Il 19 marzo 1939 arrivano dal Libano le prime quattro Suore missionarie comboniane: Cosima Pietrobelli, Cleta Chioli, Gerarda Cossali e Orsolina Troist.
Nel 1940, dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il servizio dell’ospedale viene ridotto: riprenderà le normali attività nel 1945. Sino al 1952, Ihk è stato l’unico ospedale della zona, e tanto la popolazione come le autorità locali lo hanno molto apprezzato per aver provveduto a tutti, indiscriminatamente, cura e attenzione. Nel 1995, in occasione del 60° di fondazione, l’ospedale viene ristrutturato per garantire 40 posti letto e un servizio sanitario più qualificato: «La nostra sensibilità di donne missionarie comboniane si volge ai più esclusi: rifugiati, donne partorienti povere, gorani (discendenti di schiavi deportati dal Sudan meridionale), beduini e anziani. Ora l’impegno da parte nostra è di qualificare sempre più la nostra presenza nello stile di Daniele Comboni: mostrare alla gente il cuore di Dio».
In mezzo ai conflitti
Nel 1967, durante la Guerra dei 6 giorni, un grande flusso di rifugiati palestinesi si riversa in Giordania, e anche a Karak. Le comboniane, aiutate dall’Unhcr, assicurano l’assistenza.
Nel 1970 i rifugiati palestinesi tentano di creare un proprio Stato autonomo nel Regno di Giordania e nel mese di settembre, noto come “settembre nero”, attaccano la monarchia. Gli scontri si susseguono fino al luglio dell’anno successivo. Re Hussein chiede aiuto al governo Usa, che fa intervenire Israele. La cronaca di comunità riporta: «Dalla radio apprendemmo che l’Ospedale italiano di Amman era sotto assedio e che le sorelle, dopo la fine del conflitto, furono inviate in Libano. Improvvisamente ci sentimmo sole. Poi la vita riprese...».
Dialogo di vita
La presenza comboniana diventa dialogo di vita con il mondo islamico attraverso una trasparente testimonianza dei valori evangelici che, a partire dal terreno comune dell’impegno sociale a favore dei più poveri ed esclusi, coinvolge tutto il personale. È infatti una missione che oggi coinvolge ben 85 lavoratori e lavoratrici, in prevalenza di religione musulmana, con i quali la comunità condivide la passione per la vita e il rispetto per le persone deboli ed escluse. Qui i cristiani sono appena il 3% della popolazione.
«Con le nostre scelte concrete desideriamo lasciare un segno in questo momento storico in cui il fondamentalismo sembra prevaricare sul dialogo». Nel dicembre 2016, l’attacco al Castello di Karak causa una decina di morti e una ventina di feriti, e rivela nella zona l’esistenza di gruppi fondamentalisti: «Questo evento rafforza la motivazione del nostro rimanere con la nostra gente, a sostegno anche della piccola comunità cristiana di cui siamo parte».