Era il 1974: in Mozambico imperversava la guerra d’indipendenza e in Uganda la violenza di Idi Amin Dada. In entrambi i Paesi le tensioni facevano presagire possibili espulsioni di massa degli stranieri, missionarie e missionari compresi.
Federica Bettari, allora madre generale delle comboniane, viene invitata dai vescovi dello Zambia; nel viaggio l’accompagna Barbara Mac Dermott, una delle sue consigliere.
In baraccopoli
L’arcivescovo di Lusaka, Emmanuel Milingo, prospetta loro tre bisogni cui dare risposta, e la scelta privilegia un nuovo quartiere di Lusaka, stipato di gente affluita in modo caotico dalle zone rurali: la baraccopoli di New Kanyama. Vi si concentrano quasi 30.000 persone, in prevalenza di etnia nyanja, bemba e nsenga, ma non mancano immigrati dallo Zaire (oggi Rd Congo), dalla Somalia e dal Sudafrica ancora oppresso dall’apartheid. La comunità cristiana riceve regolarmente la visita del parroco, don Libersky, che però non abita nel quartiere, troppo segnato dalla criminalità; le comboniane saranno le prime religiose straniere a risiedervi.
Tra la gente
Il 7 settembre 1975 arrivano da Roma Albertina Ticcò, classe 1939, e Marysol Gómez. L’indomani le raggiunge da Nairobi Consiglia Miglietta, classe 1937. La casetta non è ancora pronta, e le tre pioniere vengono ospitate per alcuni giorni a Matero, nella casa di altre religiose.
La comunità cristiana di New Kanyama le accoglie ufficialmente il 14 settembre, con una messa solenne. La danza e il canto delle donne le scorta fino alla loro residenza: una dimora umile, come le altre, senza acqua in casa.
E così inizia un tempo di ascolto e di conoscenza del vicinato. Per mantenersi, la piccola comunità trova anche un impiego retribuito: suor Marysol insegna nella scuola dei maristi a Matero, le altre lavorano a titolo pressoché gratuito. Suor Albertina affianca il parroco per diffondere il Vangelo in quella grande comunità frammentata, e suor Consiglia si mette subito al lavoro con le donne della baraccopoli, che imparano con entusiasmo taglio e cucito, ma anche a leggere e scrivere. Con il primo si provvedono il cibo, con il secondo una buona dose di autostima e dignità.