Sabato, 27 Febbraio 2021 16:13

Comboniane in Congo. Frammenti di storia

L’odierna Repubblica democratica del Congo, il più vasto Stato dell’Africa subsahariana, ha una storia poliedrica e remota. I reperti archeologici più antichi risalgono a 90.000 anni fa e la sua prima menzione scritta appare nei geroglifici incisi da 2.500 anni su una tomba di Assuan: «Vieni e portami il nano che hai riportato dalla Terra degli spiriti, per danzare le sacre danze e per il diletto del faraone Neferkare»

La Terra degli “spiriti” era quella popolata dai pigmei, popolo cacciatore e raccoglitore già allora famoso per le sue danze. Poco più a sud, nei secoli fioriscono e tramontano una molteplicità di regni: Kongo, Lunda, Luba, Kuba... Nel 1482, vicino a Matadi, sull’estuario di un grande fiume, approdano i primi esploratori portoghesi: vi lasciano quattro missionari e accolgono a bordo quattro nobili bakongo. Questi tornano dopo pochi anni, pieni di meraviglia per ciò che hanno visto in Portogallo. Così il re bakongo si fa battezzare con il nome di Affonso I e invia suo figlio Henrique in Portogallo, dove diventa prete. È il primo vescovo “nero” che viene consacrato a Roma. Di salute cagionevole, torna in Congo ma muore poco dopo e anche la presenza cristiana svanisce.

Dal 1500 al 1850 lo schiavismo cavalca le rivalità fra i regni e la tratta atlantica deporta centinaia di migliaia di uomini e donne. In quei secoli il commercio di schiavi e avorio fiorisce lungo il fiume Congo, disintegrando le società ancestrali, già aggredite a est dagli schiavisti zanzibaresi di lingua swahili. Proprio da Zanzibar, nel 1874, parte con altri tre europei e 220 portatori l’esploratore britannico Henry Stanley. Si dirige verso ovest, per trovare le sorgenti del fiume Congo; poi lo naviga fino all’attuale Kinshasa. Con soli 91 superstiti raggiunge la costa atlantica il 9 agosto 1877: è l’unico europeo sopravvissuto. La possente opera di David Van Reybrouck offre descrizioni minuziose e documentate dell’impatto che l’arrivo di Stanley ebbe sulle popolazioni del Congo e sul minuscolo regno del Belgio.

Proprietà “privata” di sua maestà
Leopoldo II, sovrano del piccolo “Stato cuscinetto” creato nel 1830 e chiamato Belgio, ambiva ad assicurarsi una colonia. Dal 1875 la sua attenzione si concentra sull’Africa, anzi, su quella chiazza bianca al centro delle carte e grande quanto l’Europa. Su essa convoca una conferenza di esploratori e uomini d’affari e fonda l’Associazione internazionale africana (Aia), da lui interamente finanziata. Nel 1878 chiede a Stanley di risalire il fiume Congo e di fondarvi stazioni a nome di Bruxelles. Le maggiori potenze europee si sono già accaparrate vasti territori del continente e lo stratega Bismarck, primo ministro della potente Prussia, le convoca nel 1884 a Berlino per risolvere dispute e concordare aperture al libero commercio. Le mire di Leopoldo II sull’immenso bacino del fiume Congo sono assecondate: quel piccolo regno, a confronto di Inghilterra e Francia, è “innocuo”. Con l’aiuto di Stanley si tracciano i confini dello Stato Libero del Congo, dal 1° giugno 1885 “proprietà privata” di re Leopoldo, che, per aggiudicarsi quell’immenso territorio, aveva fatto tre promesse: svilupparlo senza gravare sulle casse del suo regno, garantirvi il libero commercio e contrastarvi lo schiavismo.

Atrocità efferate
Leopoldo II invia funzionari e crea infrastrutture per incentivare il commercio, ma gli attesi proventi non arrivano. Per facilitare lo sfruttamento delle risorse dell’interno, dove il fiume non è navigabile fa costruire la ferrovia: dallo Stanley Pool, sulle cui rive cresceva nel frattempo Léopoldville, l’odierna Kinshasa, fino al porto di Matadi i costi sono ingenti e il re rischia la bancarotta. Lo salva lo sfruttamento rapace del caucciù, dal 1888 molto richiesto per gli pneumatici di biciclette e automobili. Nel 1901 la “gomma rossa”, pari all’87% delle esportazioni, è costata la vita già a milioni di congolesi del ricco distretto dell’Equatore: dal 1891, chi non fornisce la quota richiesta come “tassa in natura” subisce l’amputazione delle mani o viene ucciso. Interi villaggi sono bruciati e la popolazione non ha più né cibo né salute. È un’ecatombe, che Van Reybrouck descrive in dettaglio attraverso i ricordi dei congole-si stessi. Nel 1904 il console britannico a Boma, allora capitale dello Stato “Libero” del Congo, denuncia le atrocità commesse dai funzionari belgi e dai loro “kapò” africani. Ne segue un’inchiesta e una condanna internazionale: il 15 novembre 1908 il re cede allo Stato la sua “proprietà privata”, che diventa Congo Belga.

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