Sono arrivata in Kenya nel 1965. Sono partita dopo la metà di ottobre con una consorella destinata come me in Kenya e altre due di ritorno in Uganda. Per più di una settimana abbiamo viaggiato in nave da Venezia fino a Mombasa, poi tutta la notte in treno fino a Nairobi. Alla stazione c’era suor Ermella Cariolato ad accogliere me e suor Prassede Zamperini e a rifocillare le altre due con caffè e un po’ di cibo: fino a Kampala il viaggio sarebbe stato ancora lungo. A Nairobi ci appoggiamo alla casa dei missionari della Consolata, congregazione del vescovo Cavallera che aveva sollecitato il nostro arrivo nella diocesi di Nyeri; nel frattempo gli era subentrato il keniota Cesar Gatimu. Dopo qualche giorno, viaggiando per ore attraverso distese coltivate, arriviamo a destinazione: la missione di Karatina è in una zona fertile e bellissima, ma molto povera.
La missione aveva uno stile tradizionale, con le suore incaricate della cucina e del guardaroba dei missionari. Noi comboniane eravamo quattro: io, la più giovane, inizio il servizio in casa mentre cerco di imparare la lingua locale. Poi mi incarico del catechismo per l’infanzia e anche del programma alimentare, che provvede olio, grano e latte in polvere per bambini e bambine fino a 5 anni di età. Ogni mese, 10 gruppi di 100: le mamme venivano alla missione soltanto due volte al mese; le altre volte andavamo noi nei villaggi. Suor Ermella, che coordinava le comboniane in Kenya, lavorava con suor Noemi Piazza nel dispensario, mentre Angela Gorla era molto impegnata nella scuola materna. La parrocchia si estendeva ad altri 34 centri, che visitavamo la domenica, occasione preziosa per conoscere meglio la gente. Le mie consorelle erano state tutte espulse dal Sudan e ricordavano spesso le loro vicende, mescolando l’arabo al kikuyu: il loro legame affettivo con quei popoli era rimasto davvero molto forte.
Da Karatina e dintorni era partita la rivolta dei Mau-Mau, il Kenya era emerso dal periodo coloniale da due anni e le ferite sofferte dalla popolazione erano ancora fresche: la gente apprezzava i nostri servizi, ma non ci donava un sorriso. Mi sentivo frustrata: «Come facciamo a dissolvere la loro diffidenza?». Con il passare dei mesi, però, la gente ha cominciato a capire che “le suore bianche” erano lì per loro e la relazione è molto migliorata. Suor Ermella mi è stata di immenso aiuto. La casa di Karatina era anche sede di delegazione e vi passavano le sorelle delle altre comunità: quella di Ngandu, poco distante, e quelle molto lontane di Laisamis e Marsabit. Vi sono rimasta parecchi anni; nel 1976 sono stata assegnata alla comunità di Kariobangi (Valle della droga), aperta da poco in una delle baraccopoli di Nairobi. Successivamente sono tornata a Karatina e Ngandu, dalle quali ci siamo poi ritirate. Nel frattempo le comboniane del Sud Sudan hanno acquistato una piccola casa a Nairobi, nel quartiere South C, e nel 1994, pur rimanendo in Kenya, sono passata a quella comunità: quasi 30 anni prima ero arrivata a Karatina con le missionarie espulse del Sudan e adesso io stessa entravo a servizio del popolo sudanese. Proprio quello del Sud.