Il crollo del muro di Berlino e il successivo collasso dell’Unione Sovietica si riflettono anche sul continente africano. All’inizio degli anni Novanta, Paesi ben poco democratici ma corteggiati per decenni dall’Occidente in funzione antisovietica perdono il loro peso strategico e vengono sollecitati ad abbandonare la politica del partito unico e i media di Stato: il Kenya non fa eccezione. Il presidente Daniel arap Moi deve legittimare il multipartitismo e indire elezioni democratiche nel 1992. Pochi mesi prima, però, il Paese è travolto da sanguinosi scontri etnici. Lo stesso scenario “tribale” si ripete prima delle elezioni del 1997: così il presidente mantiene il potere e reprime le crescenti proteste contro il malgoverno che dilaga. Le zone rurali, prive di servizi e infrastrutture, si spopolano dei giovani, che cercano fortuna in città. Nairobi, un tempo “la città verde nel sole”, esprime in sé le scandalose diseguaglianze del Kenya: ville sontuose con tanto di eliporto si contrappongono a baracche di lamiera fra viottoli che diventano fogne. Anche le strade del centro sono sconnesse e gli edifici fatiscenti rivelano decenni di incuria.
Nelle zone semiaride dell’Ovest e del Nord la vita sembra ferma da secoli: le strade sono piste sterrate e i servizi di base (acqua, centri di salute e scuole) li garantiscono le Chiese con le loro “missioni”. Alla fine degli anni Novanta, però, con le prime radio e televisioni private le notizie sfuggono alla censura. Nel 2002 i soliti scontri etnici non bloccano la società civile: il presidente Moi perde le elezioni e nel 2003 inizia un tempo nuovo, segnato anche dal processo di revisione della Costituzione. L’economia nazionale decolla, fino a diventare la terza in Africa: si moltiplicano i centri commerciali, migliorano le infrastrutture e l’asfalto raggiunge anche le baraccopoli e attraversa i deserti del Nord fino a Moyale. Ma le diseguaglianze restano, e il popolo delle baracche e delle zone più isolate non vede migliorare di molto le proprie condizioni. La crisi esplode dopo le elezioni del dicembre 2007: violenze efferate a opera di giovani manipolati su base etnica da politici senza scrupoli causano oltre 1.000 morti e più di 350.000 sfollati. Fino a oggi i mandanti rimangono impuniti.
Nel 2013 la Cina stanzia 5 miliardi di dollari per le grandi infrastrutture di comunicazione e per l’esplorazione petrolifera, ma in cambio di quali vantaggi per Pechino? Forse il porto di Mombasa? La domanda rimane ancora senza risposta. Ma il Paese gode di una società civile molto preparata e dinamica, e il diffondersi di un’istruzione di qualità rende la gioventù meno manipolabile: questa è la vera speranza del Kenya.