Martedì, 30 Novembre 2021 18:23

Karamoja: l’altra Uganda

La fertile Uganda, divenuta protettorato britannico nel 1894, include a nord-est una regione semidesertica abitata da popoli seminomadi: il Karamoja. Nei secoli, un susseguirsi di migrazioni aveva condotto in quell’inospitale altipiano gruppi umani che prima del 1500 vivevano nel bacino meridionale del Nilo, e per questo detti “nilotici”. In particolare, i Karimojong sarebbero originari dell’Etiopia meridionale, a ovest del Lago Abaya, e si sarebbero spostati in momenti successivi per la migrazione dei Galla conseguente all’arrivo dei Somali dalla penisola arabica. Nell’Ottocento, quella terra selvaggia e isolata viene raggiunta anche da mercanti d’avorio e di schiavi provenienti dall’Abissinia e da Zanzibar. Kaabong, prossimo al confine con il Sudan, diventa un importante centro di scambio dove il prezioso avorio viene barattato per qualche manciata di perline o pezzo di ferro.

Il primo europeo a raggiungere la zona fu l’esploratore inglese Walter D.M. Bell: era il 1890. Armato di fucile, quel “bianco” diventa un abile cacciatore di elefanti. Prende le zanne e, in segno di amicizia, lascia la carne in dono alla popolazione locale. Nel 1897, altri “bianchi” raggiungono quella terra desolata e cominciano a imporre il loro sistema di governo e a catturare i trafficanti d’avorio: sono militari britannici. All’inizio accolti cordialmente dai Karimojong, nel novembre 1898 ne insidiano le donne e vengono uccisi. Da allora i Karimojong si sono guadagnati la fama di “popolo bellicoso” e lo sono davvero, soprattutto per sopravvivere.

In quella savana cosparsa di spine, nella stagione secca devono spostarsi in cerca di acqua e pascolo per il bestiame, loro principale sostentamento: chi ne ostacola le migrazioni stagionali o compete per gli stessi pascoli diventa un nemico da eliminare. Per questo le razzie di bestiame sono parte del loro “sistema economico”.

Per arginare il traffico d’avorio, nel 1904 il governo del Protettorato d’Uganda fa del Karamoja un “distretto chiuso”: confini “invalicabili”, mai esistiti prima per i popoli nomadi, bloccano lo spostamento delle mandrie e causano un ingravescente sovrasfruttamento dei pascoli. La savana diventa quasi un deserto e i delicati equilibri che la popolazione aveva sviluppato nei secoli per trarre sostentamento da un ambiente tanto ostile si rompono. Così, nel 1910 l’amministrazione britannica nel distretto del Karamoja blocca il traffico d’avorio, ma, bloccando anche la transumanza, peggiora le condizioni di vita dei pastori e incentiva le razzie di bestiame, soprattutto fra Karimojong e Pokot. Da Kangole, divenuto centro amministrativo di quel “distretto chiuso”, viene tracciata una strada per connetterlo al resto dell’Uganda, ma l’insicurezza vi dilaga e alla fine degli anni Settanta diventa incontrollabile: i fucili sostituiscono le lance dei giovani “guerrieri” e le aggressioni a scopo di rapina imperversano. Il 10 agosto 1981, viene uccisa anche suor Liliana Rivetta, direttrice della scuola femminile di Amudat: a Moroto aveva acquistato cibo e materiale per la scuola e stava viaggiando verso Nabilatuk con suor Rosaria Marrone, rimasta incolume. In quel contesto brutale, il messaggio nonviolento del Vangelo era davvero prezioso.

L’isolamento del Karamoja si attenua gradualmente dopo l’indipendenza dell’Uganda, ma il processo d’integrazione, interrotto dalla lunga “guerra civile” ugandese, è estremamente lento: per decenni in Karamoja non si applicano le leggi del Paese, e fino agli inizi di questo millennio il Karamoja è stato “l’altra Uganda”.

 

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Last modified on Martedì, 30 Novembre 2021 18:26

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