Chissà se una radice missionaria è già nella mia infanzia. Una terribile carestia scorre nei notiziari e ne rimango colpita: è in Etiopia, e l’Africa fa capolino nella mia vita.
Il dono dei miei genitori
In famiglia ho sempre raccolto l’incoraggiamento a esplorare “orizzonti altri”, così negli anni Settanta mi coinvolgo in un gruppo giovanile francescano che mi porta a Spello, quando fratel Carlo Carretto aggregava esperienze di Chiesa particolarmente inclusiva. Avevo 15 anni, e quella settimana di “vacanza-lavoro” agli eremi mi fa gustare una comunità cristiana che aveva davvero il sapore del Vangelo.
Passano gli anni, e la ricerca del senso della vita diventa più profonda. Mi fidanzo, termino l’università e inizio a lavorare, però manca ancora qualcosa.
Il “caso” mi avvicina di nuovo al Vangelo e a una comunità cristiana che ne coltiva la conoscenza: respiro!
Nel 1988 sono a Ouagadougou, in Burkina Faso, per un mese di volontariato “missionario” con la parrocchia della mia città, e lì Vangelo e Africa si mescolano. La chiamata è irresistibile, e nel 1990 faccio il salto: accompagnata con fiducia da mamma e papà, raggiungo vicino a Roma la congregazione che avevo conosciuto a Ouagadougou.
Vaticano II: spartiacque non scontato
Inizio a esplorare la vita religiosa e la trovo più attenta alla forma che alla sostanza, appesantita da tante preghiere e pratiche per me poco comprensibili. Che pena! Il Vangelo dov’è? Quelle suore colgono il mio grande disagio di “aspirante” e mi mandano a fare il “mese ignaziano”: non sapevo cosa fosse, ma è la mia salvezza.
Nel silenzio orante di quel prolungato tempo di discernimento vedo per la prima volta le Comboniane. Sono tre italiane, talmente diverse che neppure immagino possano appartenere alla stessa congregazione; diverse ma molto unite, e nella preghiera portano le pene e le gioie del popolo dell’Uganda.
Qui c’è vita!
Grazie a Silveria Pezzali mi avvicino a loro. Giovanna Calabria mi indica la referente vocazionale a Roma, Maria Rosa Venturelli, che a sua volta mi mette in contatto con Luisa Croci. Sono tutte diverse, ma con un tratto comune: la semplicità. Luisa mi invita a vedere la realtà della congregazione in Italia, a Bergamo, una comunità di sorelle anziane. Onesta!
La verità è quella, ma c’è anche la spumeggiante Maria Savani e, di passaggio, Mariangela Sardi, donna dell’ascolto. Sono molto diverse, ma entrambe di grande spessore. Mi sento attratta da queste donne semplici, molto concrete e immerse nel mondo. Dopo alcuni mesi, Luisa mi introduce alla comunità di formazione in Via Paolina a Roma. Mi ritrovo in una combriccola di giovani donne in ricerca che si confrontano con missionarie di età e nazionalità diversa: che bello!
La ricchezza delle differenze
A Brescia trascorro il tempo più introspettivo del noviziato, altra tappa di scoperte con tutta la comunità e con Luciana Zonta, che porta in sé pezzi di Usa ed Etiopia. Cesarina Colombo, l’anziana di casa, non è mai stata fuori dall’Italia (il perché lo capirò dopo, leggendo la storia dell’istituto), ma esprime un’accoglienza splendida.
Le diversità brillano, e io discuto sempre con Beatrice Mariotti, novizia come me. Siamo due mondi lontani, eppure alla fine del noviziato ci ringraziamo: le nostre differenze erano state arricchimento reciproco.
Con altre sette, il 10 ottobre 1993 divento anch’io Suora comboniana e inizio i “salti missionari”. Atterro a Londra per apprendere l’inglese; la comunità vive tensioni dolorose, ma Natalina Marini riesce ad allentarle con la sua risata contagiosa e Barbara McDermott, già molto anziana, aiutando noi giovani con la lingua.
Nel luglio 1994 rotolo di nuovo in Italia per la preparazione professionale: siamo una decina di giovani studenti in una struttura che ospita oltre 100 suore. Alcune sono “pre-Vaticano II”, ma Teresita Cortés Aguirre, nostra referente, e Aldina Martini, anziana della nostra piccola comunità giovane e internazionale, ci aiutano a crescere come Comboniane del presente, non del passato.
Le mie prime maestre di “intercultura” sono proprio le sorelle di Uganda, Eritrea, Repubblica democratica del Congo e Costa Rica con cui vivo.
Il mondo è casa
All’inizio del 1998 atterro in Kenya: karibu (benvenuta)! Gli inizi sono alquanto turbolenti, ma Pierina Mazzoleni e Bernadette Hilmer mi sostengono con delicatezza, e Carmen Predelli e Margarita Contreras Del Toro mi aiutano a confermare la mia vocazione comboniana, che matura proprio in quella comunità internazionale.
Dopo nove anni, salto dal Kenya al Sud Sudan: Juba è una città fantasma, tappezzata dalle voragini dei bombardamenti, senz’acqua né luce. Eppure Aloisia Cierlini, classe 1929, là donava un tocco positivo. E quando incontravo persone del luogo mi chiedevano: «Dov’è Giovanna Sguazza? Era la nostra insegnante alla secondaria Comboni School e marciava con noi per strada, a difendere la dignità che il governo di Khartoum ci strappava».
Giovanna arriva l’anno successivo, e anche da lei raccolgo il testimone.