Per incoraggiare relazioni più rispettose fra le tante differenze che abitano il mondo, di cui quella di genere costituisce soltanto un aspetto, Combonifem continua l’incontro con le religioni, sistemi valoriali fondanti per molte culture e società. È possibile dissolvere l’intreccio che da secoli lega religioni e violenza, e in particolare la violenza sulle donne?
Il concetto di “verità” nomade, proposto in prospettiva filosofica da don Roberto Vinco all’inizio della nostra esplorazione, spalanca all’ascolto umile che si fa conoscenza. Anche nelle pagine di questo dossier ogni religione è stata invitata a raccontarsi attraverso voce femminili: sono emerse parole e silenzi.
Il tocco d’inizio è stato affidato alla biblista Donatella Scaiola e tratteggia la violenza sulle donne nelle Scritture, anzi, in quell’Antico Testamento che accomuna le tre grandi religioni monoteiste del Mediterraneo: ebraismo, cristianesimo e islam. Il soffio esperienziale dall’Etiopia fa incontrare donne che trasformano il rancore in amicizia, e la conclusione raggiunge altre e più lontane Scritture: quelle del buddhismo, ritenuto «un credo incompatibile con qualsiasi tipo di violenza».
I racconti parlano di rivelazioni che all’origine cantano l’uguale dignità di uomini e donne per poi perderla nei meandri dei secoli. In molte religioni le donne riemergono da alcuni decenni, ma ancora a fatica.
Per questo non basta parlare di Fratellanza universale per la pace mondiale e la convivenza comune, titolo del documento congiuntamente firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da papa Francesco, per le Chiese cattoliche di Occidente e Oriente, e dal Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, per i musulmani d’Oriente e d’Occidente.
La fratellanza ha la sua radice nei “fratelli” uomini e non include le “sorelle” donne.
«Le accumulate interpretazioni errate dei testi» – come recita il documento – non sono solo responsabili del terrorismo e del fanatismo religioso: sono anche la principale causa dell’emarginazione che le donne soffrono da millenni. Lo stesso “linguaggio ufficiale” continua ancora a ignorarle.
Per questo le pagine di Combonifem prediligono le voci femminili, senza escludere quelle maschili: l’inclusione sociale è un processo esigente, da incoraggiare a tutti i livelli con un impegno quotidiano all’ascolto: «Il coraggio dell’alterità è l’anima del dialogo».
Yarona Pinhas, studiosa di mistica ebraica, ci ricorda che la parola “violenza”, in ebraico alimùt, viene da elem, “silenzio”: razzismo e odio nascono dall’incapacità di comunicare nel modo giusto. All’origine della violenza c’è spesso l’arroganza di zittire “voci altre”. Tante guerre civili hanno in questo la loro scintilla: le pagine comboniane, narrando i primi decenni del conflitto in Sud Sudan, lo confermano. L’arroganza che riduce “voci altre” al silenzio alimenta contrapposizioni che nutrono scontri distruttivi: li vediamo anche oggi in Italia e in Europa.
Nei mesi che precedono le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, ciascuna e ciascuno di noi si impegni a dissolvere la violenza, verbale e anche fisica (come l’assassinio del sindaco di Danzica), con una dialettica sincera che non proceda per slogan ma attraverso un confronto paziente.
La politica sana dovrebbe avere proprio questi tratti “inclusivi”: far germinare «identità aperte, capaci di vincere la tentazione di ripiegarsi su di sé e irrigidirsi».
Ogni occasione è preziosa per smilitarizzare il cuore umano.