La cultura del bem viver è molto antica ed è basata su principi ancestrali.
L’ancestralità è un punto di partenza fondamentale di tale cultura. Nella sapienza amerindia il passato non è qualcosa di obsoleto, è piuttosto un vincolo esistenziale per il presente. È ciò che permette di rimanere in un processo di continuo apprendimento, avendo cura della vita del cosmo, che implica cura di noi esseri umani, delle nostre radici e della terra. È un’alleanza universale nella “casa comune”, definita affettuosamente dai popoli amerindi Pachamama: “Madre di tutti e tutte”. Nelle mitologie amerindie si tratta della “madre terra” o “dea della fertilità”. Nella lingua quechua come in quella aymara, mama si riferisce a una figura materna sacra, e pacha è un termine ampio e complesso che sintetizza una molteplicità di concetti: lo spazio e il tempo, la terra, il divino e il sacro. Il quechua è molto diffuso in America Latina: sono diversi i popoli indigeni che condividono questo ceppo linguistico. L’aymara è invece parlato da popolazioni precolombiane stabilitesi in tutta l’estensione andina a sud del Perù, dalla Bolivia all’Argentina al Cile.
Circolarità di cura
La persistenza di disuguaglianze economiche e sociali, di ingiustizie e violazioni dei diritti umani dimostra che non stiamo avendo cura di noi umani, e tanto meno della terra e degli altri esseri viventi. Ciò significa che l’umanità si è distanziata sempre più dalla Pachamama.
Nella prospettiva del buon vivere la cura è un elemento fondamentale e si manifesta in atteggiamenti di amore e rispetto, quasi una forma di venerazione. Io ho bisogno di prendermi cura della creazione perché ne faccio parte. E la terra, intesa come una realtà ampia, territorio di vita e di senso per le persone e gruppi che la abitano e in essa convivono, è la casa comune di tutta la creazione.
Un altro concetto importante per la definizione del buon vivere è il principio della terra sem males: la “terra senza mali”. Si tratta di un mito del popolo Guaraní che è presente nella spiritualità anche di quasi tutti i popoli amerindi e che si riferisce a un altro stile di vita, contrapposto all’economia predatoria del progresso capitalista, il quale genera piccole isole di ricchezza e immense aree di miseria, povertà ed esclusione sociale.
Prima della colonizzazione, per i popoli amerindi la “terra senza mali” esprimeva relazioni di equilibrio e interdipendenza tra gli esseri umani e la natura, in un atteggiamento permanente di responsabilità, cura e protezione della biodiversità. Era orientata a una civiltà giusta, solidale e sostenibile, ben diversa dalla modalità di produzione, distribuzione e consumo propria del capitalismo.
Progetto politico
Il buon vivere si presenta oggi come un progetto altamente politico, trattandosi, in pratica, di un’alternativa allo sviluppo economico capitalista. Nel bem viver il “progresso” non consiste nell’accumulare cose, competere sul mercato, avere un forte potere d’acquisto e possedere molti beni, cioè “vivere bene”, quanto piuttosto nella garanzia di vivere in condizioni dignitose, di con-vivere nel rispetto e nell’interdipendenza con la natura, nella condivisione e nella solidarietà tra le persone e i gruppi presenti nella comunità, cioè nel “ben-vivere”.L’esperienza del bem viver sostiene la vita comunitaria di diversi popoli indigeni, ma non solo.
Ne è un esempio anche il Collettivo 14 Agosto, tra i Comuni di Jaru e Ariquemes nello Stato di Rondônia, Brasile. È una proprietà collettiva di circa 25 famiglie che da un quarto di secolo condividono un progetto di agroecologia integrale. Sono legate a diversi movimenti contadini e alla Commissione pastorale della terra (Cpt) della Chiesa cattolica. I leader della comunità hanno ricevuto una formazione altamente specializzata in vari settori (agronomia, geografia, storia, sociologia, veterinaria, educazione…). Il Collettivo si ispira alla vita delle prime comunità cristiane, che avevano tutto in comune e dividevano con gioia i loro beni (At 2,44-45).