Qui sono stata ospitata dalla comunità di Suore missionarie comboniane che vi opera da oltre trent’anni. La Pasqua è una festa particolarmente sentita: per più di una settimana la gente ha pregato e ballato in continuazione. È stato bello poter festeggiare con loro, condividendo pranzi e giochi.
A scuola
Il mio ruolo è stato principalmente quello di affiancare suor Carmita Cabrera, ecuadoriana, preside della scuola della missione. È una persona organizzata: ogni mattina, all’assemblea che precede l’inizio delle lezioni, controlla che gli studenti non abbiano le mani sporche. Per lei il cambiamento parte da loro, dall’essere puliti, istruiti, e dal crescere diventando, giorno dopo giorno, persone più belle. È stato un onore poter entrare in contatto con la sua profondità, creatività e competenza. In questo viaggio è lei che mi è stata più vicina, dandomi la possibilità di conoscere e farmi conoscere. Di questo le sarò sempre grata.
Di solito, per motivi di studio o di lavoro, chi vive questo tipo di esperienza può farlo a luglio o agosto, quando la scuola della missione è chiusa. Per questo motivo è stata una totale novità che una “ragazza bianca” vi trascorresse tanto tempo. Nonostante l’abisso di diversità, è stato meraviglioso ritrovare nei bambini quell’innocenza infantile che, a furia di tecnologie nuove e genitori troppo permissivi o indaffarati, si va perdendo in Italia.
Ho stretto una bella amicizia anche con i maestri: chiedevo loro qualche parola o frase in oromo che potesse essermi utile, e il giorno dopo la usavo. Così esprimevo il mio desiderio di integrarmi; questo li rendeva felici e mi hanno davvero accolto come una di loro.
Tante relazioni
Oltre alla scuola, la missione ha anche una piccola clinica, gestita da altre tre comboniane: Marisa Zorzan, Teresina Generoso e Madeleine Kapita, detta Mado. La vita in ospedale è molto impegnativa: emergenze, parti, vaccini, malattie varie. Ma niente sembra scioccare le tre, che mai si tirano indietro. Ho imparato molto dalla profonda spiritualità di suor Marisa; e che dire di Teresina, 78 anni di pura energia e simpatia? Conosce tanto della cultura locale, e ascoltare le sue storie è un vero piacere. Mado, congolese, è la più giovane del gruppo. Il suo modo di fare “africano”, gioioso e solare, strappa sempre un sorriso.
E infine c’è Clotilde Ravasi, “Tilde”, la veterana di Haro Wato. Anche lei lavorava nella scuola, ma da quest’anno si occupa d’altro, ovvero di un po’ di tutto. Al mio secondo giorno di presenza, mi ha invitato a conoscere i luoghi. Dopo un’ora in salita sotto il sole, io arrancavo e mi trascinavo, e lei, con i suoi 73 anni, mi chiedeva: «Ce la fai?». Suor Tilde è particolarmente amata e rispettata: se ci sono problemi in una famiglia, lei ascolta e mette pace; accompagna i bambini disabili ad Addis Abeba per farli curare, e insegna un lavoro a chi non ce l’ha: fare maglie, copertine, collane e braccialetti. Se ci sono persone troppo anziane o ammalate per raggiungere la chiesa, lei si addentra nella foresta per portare loro la comunione. È una donna piccola e minuta, ma con una sensibilità e un cuore giganteschi.
In un altro mondo
Qui ho scoperto un modo diverso di concepire la fatica e la vita: ho visto donne portare per chilometri pesi inauditi, mentre io mi lamento per una cassa d’acqua. Ho visto bambini di tre anni portare su e giù legna, carrucole e taniche d’acqua, mentre io prendo l’auto per fare 500 metri. Ho visto bambine “grandi” (dai 5 ai 10 anni!) occuparsi dei più “piccoli”, portarli in braccio, calmarli quando strillano, farli giocare e mangiare, mentre da noi a quell’età giocano con l’iPad.
Mi sono sentita così stupida al solo pensiero di aver desiderato oggetti che sono insignificanti o di essermi rovinata la giornata per una cosa andata storta la mattina, mentre queste persone, nonostante le privazioni e la fatica, ti regalano un sorriso meraviglioso, che non ho mai visto sul volto di chi qui ha tutto. Forse, se avessimo la metà del coraggio e dello spirito di sacrificio che hanno loro, potremmo vivere in modo meno superficiale e materialista.
Con altri tempi
Come diceva sempre suor Teresina, «in Africa il tempo non esiste». In Italia, invece, il tempo imposto dal sistema ci stressa, ci intimorisce e talvolta ci schiaccia. La verità è che siamo persone diverse e in quanto tali abbiamo esigenze e tempistiche diverse. Ancora una volta l’Africa dona qualcosa: il tempo, la possibilità di scoprirlo e di goderne ogni attimo. Ma poi, in un batter d’occhio, è arrivato anche il momento di ripartire.