L’Africa, da secoli, per le sue ricchezze, è oggetto d’interesse: possiede più del 10% delle riserve globali di petrolio, un terzo di quelle di cobalto e altri minerali come uranio, platino, nichel, bauxite, e il 40% dell’oro di tutto il mondo; senza trascurare il suo immenso potenziale agricolo.
Questo interesse è caratterizzato da una forte propensione predatoria, che, oltre a sfruttare selvaggiamente le risorse sopra descritte, ha sottratto al continente africano una parte consistente della sua popolazione. Catturata e privata della libertà, è stata trasferita in altri continenti secondo tre direttrici principali: verso il Nord Africa attraverso il Sahara, lungo l’Oceano Indiano verso i Paesi del Medio ed Estremo oriente, e, attraverso l’Oceano Atlantico, verso le colonie europee delle Americhe.
Sebbene non vi siano dati certi, si può stimare che dal XVI al XIX secolo le persone africane schiavizzate siano state almeno trentasette milioni. La schiavitù è una pratica conosciuta e perpetrata a tutte le latitudini, non solo in Africa.
C’è tratta e tratta
Prima della schiavizzazione coloniale, la condizione di schiavitù era spesso temporanea. Uno schiavo aveva anche la possibilità di guadagnare dal proprio lavoro e accumulare proprietà. In alcune società, agli schiavi era addirittura riconosciuto uno status di cittadino.
In Africa, prima del 1500, le persone vendute come schiavi dai rappresentanti dei regni locali erano soprattutto debitori, criminali o prigionieri di guerra.
È con la Tratta atlantica che si assiste a un vero e proprio degrado delle condizioni di schiavitù: l’accresciuta importanza economica del traffico di schiavi fece sì che non fosse più sufficiente vendere criminali o prigionieri di guerra occasionali. Alcuni regni, fra cui quello Bambara e Khasso, intrapresero addirittura delle guerre finalizzate alla cattura di prigionieri da vendere come schiavi.
La schiavitù è responsabile dell’arretratezza del continente africano per due ragioni:
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la prima, ovvia, fa riferimento alla spoliazione del “capitale umano” in senso propriamente fisico. L’Africa ha perso milioni di persone, solitamente le più giovani e forti. Interi sistemi economico-sociali sono stati distrutti dalla spoliazione dei beni di sussistenza;
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la seconda, più subdola e correlata al ruolo dei Paesi colonialisti europei, fa riferimento alla costruzione di relazioni politiche ed economiche centrate sull’abuso e la sopraffazione, come ben scrive Dambisa Moyo nel suo importante lavoro La carità che uccide: relazioni che negli anni hanno plasmato una classe dirigente corrotta, avida e sanguinaria, che ha prodotto una vera e propria cultura dello sfruttamento delle risorse naturali e della popolazione.
Possiamo affermare che queste due ragioni contribuiscano al triste primato africano: il più alto indice di povertà a livello planetario. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il reddito pro capite africano ammonta a soli 1.809 dollari annui.
Continente di clamorose disuguaglianze, l’Africa è oggi, a distanza di quasi due secoli dall’abolizione della schiavitù, affetta da una nuova forma di schiavitù, che coinvolge centinaia di migliaia di individui e ne minaccia altrettanti: la Tratta di persone.
Al di là della definizione ufficiale degli organismi internazionali, il fenomeno della Tratta, primo fenomeno sociale globalizzato, è il processo attraverso il quale una persona è prima persuasa ad accettare un’offerta di lavoro, di studio, di viaggio, in un luogo diverso da quello di residenza, effettivamente trasferita in tale luogo, dove è poi sottoposta a pratiche di sfruttamento servile o paraschiavistico.
Sebbene condivida con la schiavitù la finalità ultima dello sfruttamento economico dei corpi delle persone coinvolte, la Tratta ha caratteristiche profondamente diverse. La maggior parte delle vittime non sono infatti coinvolte coercitivamente, ma sono reclutate prima e tenute poi in condizione di sfruttamento in virtù di complessi meccanismi psicologici di dipendenza.
Nuova etica della sopraffazione
La Tratta di persone è un fenomeno strettamente connesso alla globalizzazione, che ha mandato in soffitta valori ai quali, per circa due secoli, intere generazioni sono state educate: onestà, lealtà, tolleranza e solidarietà.
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