Una lobby può utilizzare l’arma della persuasione, facendo leva sulla forza dei propri argomenti, oppure quella dell’azione legale e civile, attraverso la mobilitazione attiva dei cittadini. In altre parole, fare advocacy, mettere in atto campagne informative in favore di una determinata azione politica, di per sé, ed entro determinati confini, non costituisce un crimine, né legale, né morale, all’interno di un sistema democratico. Il confine è dettato dalla trasparenza e da norme chiare in grado di definire i conflitti di interesse tra decisori politici e portatori di interessi particolari.
Si stima che Bruxelles ospiti oggi un numero di lobbisti quasi pari al personale impiegato dalla Commissione europea.
In cerca di trasparenza
Secondo stime recenti fornite dal quotidiano britannico Guardian, i gruppi di interesse influenzerebbero il 75% delle norme europee. Un dato di enorme rilevanza, se si considera che l’80% delle legislazioni nazionali derivano proprio da queste norme. La registrazione di queste organizzazioni, la trasparenza sulle relazioni intrattenute con i rappresentanti delle istituzioni europee, il tipo di interessi di cui questi gruppi si fanno portatori sono dunque informazioni fondamentali che devono essere rese pubbliche.
Così facendo è possibile garantire ai cittadini il diritto a ottenere le informazioni necessarie a comprendere fino in fondo le dinamiche e le argomentazioni che hanno condotto alla formazione di un determinato provvedimento, agendo successivamente in modo consapevole attraverso il voto per i propri rappresentanti. Per raggiungere questo fine, nel 2011, è stato introdotto un Registro europeo per la trasparenza e un allegato codice di condotta, attraverso un accordo inter-istituzionale tra Commissione e Parlamento europeo.
Il registro è una banca dati pubblica che elenca le organizzazioni che cercano di influenzare il processo legislativo e di attuazione delle politiche dell’Ue. L’obiettivo è quello di mettere in evidenza quali sono gli interessi perseguiti, chi li persegue e con quali risorse finanziarie, e in questo modo offrire ai cittadini e ad altri gruppi di interesse la possibilità di monitorare le attività dei lobbisti.
Qualche perplessità
Il carattere del tutto volontario dell’iscrizione a questo registro rappresenta ancora un limite al principio di trasparenza, tanto da indurre nel 2015 la Commissione europea ad iniziare a elaborare una proposta per un registro obbligatorio per i lobbisti in attività con tutte le tre istituzioni: Commissione, Parlamento e Consiglio. La proposta è stata formalizzata nel 2016 ed è entrata nel vivo dei negoziati fra le tre istituzioni lo scorso giugno.
Lo slancio verso una maggiore trasparenza è iniziato già nel 2014, quando la Commissione ha adottato due decisioni per rendere pubbliche le riunioni tenute dai commissari, dai membri dei loro gabinetti e dai direttori generali con organizzazioni e liberi professionisti iscritti nel registro.
La mia esperienza
Ma che cosa fa nel concreto questa galassia di professionisti, società e organizzazioni? Non c’è una risposta univoca. Se è vero che per certi versi l’azione di pressione dei gruppi di interesse condiziona in parte l’operato politico delle istituzioni, è anche vero che questi stessi gruppi possono fornire un importante supporto tecnico a riscontro delle conseguenze che alcune scelte politiche possono avere su determinati settori economici o nell’ambito dei diritti umani. A questo proposito vorrei fare due esempi nei quali mi sono imbattuta nel corso del mio mandato al Parlamento europeo. Il caso di Business Europe e quello della Rete europea contro il razzismo, Enar.