Sono trascorsi due anni da un’esperienza indimenticabile: un mese in missione.
Sono Angela Maio, ho 39 anni, vivo a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, e sono medico.
In passato, spinta dal desiderio di fare un’esperienza seppur breve di missione, avevo contattato invano varie ong: mi venivano richieste precedenti esperienze all’estero, che non avevo, oppure disponibilità per periodi medio-lunghi, inconciliabili con le mie esigenze di lavoro.
Nel 2014, cercando sul web, ho trovato un corso organizzato da suor Carmela Coter, comboniana: preparava a esperienze missionarie, anche per brevi periodi, e non richiedeva previa esperienza all’estero. Che gioia!
Una preparazione davvero speciale
Ho partecipato agli incontri: una valida occasione per conoscere da vicino la realtà missionaria comboniana e per iniziare a comprendere quella cultura africana che poco conoscevo ma che tanto mi affascinava. Suor Carmela si raccomandava di avvicinarla con profondo rispetto, “togliendosi i sandali”, al modo di Mosè davanti al roveto ardente, e quando parlava del Centrafrica, dove lei aveva vissuto per anni, le brillavano gli occhi.
Poi mi ha parlato di suor Sara Antonini, missionaria comboniana e medico, che dirigeva l’ospedale di Nzara, in Sud Sudan. Subito mi ha entusiasmato la possibilità di fare un’esperienza proprio nel mio ambito professionale.
Poco dopo l’inizio del corso, ho sentito il desiderio di fare un pellegrinaggio a Medjugorje, durante il quale ho incontrato Stefano Corradi, 54 anni, informatico. Abbiamo iniziato a frequentarci, condividendo gli stessi valori cristiani e anche l’interesse per un’esperienza di missione. Stefano, tra l’altro, aveva già fatto un’esperienza simile in Madagascar alcuni anni prima. Così, ne abbiamo parlato con suor Carmela e abbiamo proseguito il corso insieme.
Un grazie di cuore a lei, che ci ha permesso di concretizzare il nostro desiderio: condividere un’esperienza missionaria. Con sollecitudine, infatti, ha preso contatto con le suore della missione di Nzara e tenendo conto delle nostre esigenze ha predisposto quanto necessario. A circa due mesi dalla partenza abbiamo fatto i biglietti aerei per Kampala. Per le tre settimane a Nzara sapevamo di poter fare riferimento alle suore, non solo per il trasporto via terra, il vitto e l’alloggio, ma anche per qualsiasi altra evenienza. Nell’incertezza di ciò che ci aspettava, partivamo rincuorati: le missionarie erano là da tanto tempo e conoscevano molto bene la realtà locale. Inoltre eravamo motivati dall’opportunità di conoscerci meglio e metterci anche un po’ alla prova come “coppia”.
In viaggio
Siamo partiti il 29 luglio 2015. All’aeroporto di Entebbe, in Uganda, siamo arrivati alle tre di notte. Ad attenderci, nonostante l’ora tarda, c’era suor Laura Gemignani, giunta nel frattempo dal Sud Sudan. Era molto affaccendata e preoccupata, perché la situazione del Paese stava degenerando. Dall’aeroporto l’auto della missione si è diretta ad Arua, al confine con Sud Sudan e Repubblica democratica del Congo.
Siamo arrivati solo a sera. Durante il viaggio, tanti paesaggi inediti si sono svelati: bambini che percorrevano a piedi chilometri di strada per andare a scuola; mamme che portavano dietro la schiena i loro bimbi a mo’ di fagotto e reggevano sul capo ogni genere di oggetti ingombranti; biciclette e moto col sedile allungato per trasportare tre o quattro persone alla volta. Centri abitati simili a baraccopoli si alternavano a paesaggi meravigliosi di natura incontaminata, con scimpanzé accampati al ciglio della strada ed elefanti un po’ più a distanza.
Ad Arua, la nostra prima sera nella casa delle comboniane, arriva Dario, autista e amico di suor Laura. Purtroppo non porta buone notizie: in Sud Sudan, nella città di Yambio, vicino a Nzara, gravi disordini hanno costretto tanta gente a lasciare le proprie case e rifugiarsi nelle campagne. Capiamo che non avremmo potuto raggiungere Nzara in quei giorni. Suor Laura si preoccupa subito di trovare un’alternativa. Contatta un comboniano, fratel Günther, amministratore dell’ospedale di Matany, in Uganda, e gli chiede di ospitarci per le tre settimane della nostra missione.
Cambio di programma
Il giorno dopo, un altro lungo viaggio per attraversare il Nord Uganda e raggiungere Matany, in Karamoja, ai confini col Kenya.
È un piccolo centro, con baracche come negozi e capanne come abitazioni. Le strade sono in terra rossa battuta, piene di fango e detriti, ma agli abitanti deve sembrare un luogo più che dignitoso; lo rivelano il sorriso e la serenità degli adulti e, soprattutto, dei tanti bambini, contenti di giocare con un cerchione di ruota o qualsiasi altro oggetto “insignificante” trovato per terra.
L’ospedale di Matany, attualmente gestito da missionari e missionarie comboniane, è sostenuto anche da Medici con l’Africa Cuamm. Conta 226 posti letto e serve gli abitanti del Karamoja. All’interno vi sono vari reparti: medicina, chirurgia, ginecologia, pediatria e un reparto per pazienti affetti da tubercolosi. Non manca neppure la radiologia, con tanto di servizio di ecografia, il laboratorio di analisi e la farmacia. Annessa all’ospedale c’è la scuola per infermieri. Vicino, sorgono le abitazioni delle suore e di parte del personale ospedaliero, dove anche noi abbiamo alloggiato. Diversi giovani medici ugandesi e alcuni medici del Cuamm prestano servizio nell’ospedale.
Io ho avuto il privilegio e la gioia di collaborare con Emanuela, una dottoressa italiana del Cuamm. Di mattina l’affiancavo nelle visite dei pazienti ricoverati e di pomeriggio nell’attività ambulatoriale. Era instancabile!
Come costume in Africa, i familiari provvedono il cibo per i congiunti ricoverati e spesso sono le bambine a portarlo ai genitori o ai nonni. Trattandosi di un ospedale privato, veniva richiesto un piccolo contributo per la degenza, ma le persone lo preferivano all’ospedale pubblico, privo di risorse.
Stefano, come informatico, ha lavorato per una settimana con suor Laura Gemignani ad Arua, poi mi ha raggiunto a Matany, per condividere le due ultime settimane di missione, e ha fatto l’informatico dell’ospedale.