Siamo in Sud Sudan, dove il conflitto e la mancanza di sicurezza hanno costretto alla fuga 1 cittadino su 3. All’interno del Paese, 7 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Ad inizio mese, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha lanciato un appello per lo stanziamento di 1,5 miliardi di dollari per sostenere i rifugiati in fuga e di 1,7 miliardi di dollari per le persone in difficoltà che si troveranno all’interno del Paese nel 2018. Secondo l’Unhcr, infatti, il numero dei rifugiati dovrebbe superare quota 3 milioni entro la fine di quest’anno.
«Il costo umano del conflitto in Sud Sudan ha raggiunto proporzioni epiche - ha dichiarato il Commissario Onu all’agenzia Aise -. Se la guerra non finisce, il numero dei rifugiati salirà da 2,5 milioni a 3 milioni nel 2018. Il conflitto sta sottraendo al Sud Sudan la gente che dovrebbe rappresentare la più grande risorsa di una giovane nazione. Dovrebbero costruire lo Stato, non fuggire da esso. Finché il popolo del Sud Sudan non troverà la pace, il mondo dovrà aiutarlo».
Donne e bambini rappresentano quasi il 90 percento delle persone costrette a fuggire, il 65 percento ha meno di 18 anni. Le donne hanno riferito di essere state vittime di stupri e altre forme di violenza, di aver visto uccidere i propri mariti e rapire i figli mentre tentavano di fuggire.
Nel 2016 l’Onu ha stilato un rapporto in cui ha accusato il governo di aver permesso ai militari di saccheggiare, uccidere civili e stuprare le donne come ricompensa del loro lavoro. Dall’inizio del conflitto sono stati uccisi oltre 50mila civili e sono stati registrati più di 1.300 casi di stupro. Perché ancora, in Sud Sudan, lo stupro è un’arma di guerra.
Ma nonostante fame, povertà e violenza le donne del Sud Sudan portano avanti la propria vita con dignità. Come Costanzia, Macabi, e Natabugu. Tre giovani ragazze che hanno combattuto contro la probabilità di non finire gli studi, ma una volta ottenuta l’opportunità non si sono lasciate fermare dal timore della guerra e si sono impegnate a portare avanti la propria vita, indipendentemente dalle situazioni drammatiche del Paese. Lo scorso anno hanno iniziato a frequentare il corso di formazione triennale per ostetriche. Una nuova sfida, per dare speranza e servizio alle donne, alle madri del loro Paese.