Io sono il cronista irritato
che non ascolta la serenata,
perché deve fare i conti
... del secolo color di sangue
Riprendo i versi del cronista irritato.
Perché non ammettiamo, come annunciò l’antico profeta, che da molto tempo fa fino ad oggi, «non abbiamo più né principe, né profeta né capo né olocausto, né sacrificio né oblazione né incenso, né luogo per presentarti le primizie» (cfr. Dn 3,38). Nessuno sa più cosa significa udire sapienze e profezie che riscaldano il cuore e danno luce agli occhi per poter guardare ancora.
Io sono il cronista irritato, scandisce Pablo Neruda, che ha da fare i conti di un mondo abitato da realtà visibili e invisibili che non entrano nei conti quotidiani dei bilanci economici del sistema del mondo attuale. Secondo il poeta, questi conti comprendono i secoli passati, ma sarebbe bene continuarli fino ad oggi.
Conti delle devastazioni odierne, soprusi perpetrati su popolazioni e territori, culture e cosmovisioni, nei secoli passati e presenti: quanto sangue umano, quanta linfa vitale di foreste e montagne; quante grida, lacrime e gemiti!
Questo sistema tende ad essere depredatore, e non solo di risorse naturali ma di sapienza e saggezza. Come uscire da questa predestinazione eterna di un sistema che si fa in luoghi di calcoli incorretti e illogici, così da rendere l’economia la scienza del potere contemporaneo, ancor più della tecnologia? È per questo che voglio restare cronista irritata, sperando che altri si irritino: ho l’obbligo come qualsiasi cittadina di fare i conti con la terra, le risorse naturali, e non solo con i conti in banca.
Ho l’obbligo di narrare l’oscurità di questo secolo notturno e pieno di minacciose presenze che sovrastano persino le ombre e di raccontare quanto sangue si sparge nelle nostre società; quanto dolore, con tali programmi economici, politici e di difesa militare, ecc. Eppure, in ogni secolo ci sono uomini (e con uomini intendo maschi) che si dicono i custodi del dolore altrui, addirittura i riparatori e i salvatori. Se si osserva bene, sono uomini fatti di detriti tossici, per questo non muoiono mai; fatti di plastiche corrosive e non di terra. Fatti di rifiuti contaminati che vengono da antiche mafie, logge politiche e finanziarie di ogni tipo. Disseminano armi ovunque, sui suoli e nei sottosuoli.
Nelle ancestrali sapienze si dice che l’uomo è fatto di terra, è come il fiore che spunta al mattino e la sera si secca. Ma questa immagine non è corretta per questi tipi di uomini che oggi si affannano per restare gli eletti. Le persone fatte di terra, o simili ai gigli del campo e agli uccelli del cielo, anche quando infinitamente piccoli, non assomigliano a questi inetti uomini di affari poco puliti. Uomini immortali, che saltano da un potere all’altro, da quello delle proprie nazioni a quello di istituzioni internazionali: li trovi dappertutto.
Io non amo l’immortalità, amo la finitudine trasformante, la piccolezza leggera, la sapienza sottile che nessuno di costoro mi darà, ma solo la Vita, cercata ogni mattina, quella scrutata dal di dentro, osservata nei suoi evidenti e non evidenti cambiamenti.