Sono circa 821 milioni le persone che, nel 2017, soffrono di denutrizione per la mancanza cronica di alimenti. Un numero in aumento da 2014, che nel 2016 aveva raggiunto circa 804 milioni e ad oggi è aumentato fino a raggiungere i livelli di dieci anni fa.
I dati emergono dal nuovo rapporto presentato dalle agenzie dell'Onu (Fao, Ifad, Pam Unicef e Oms) dal titolo "Lo stato di sicurezza alimentare e nutrizione nel mondo". Se in Italia si parla di 2,7 milioni di persone povere che non riescono a procurarsi il cibo. La quota di persone denutrite nella popolazione mondiale ha raggiunto, nel 2017, il 10,9%.
Il problema sta peggiorando enormemente nei paesi in via di sviluppo, come il Sud America, l’Asia e l’Africa. Anche se quest’ultimo rimane il Paese con il più alto livello di allerta: il problema interessa infatti quasi il 21% della popolazione (oltre 256 milioni di persone).
Sembra impossibile, ma le cause sono ben note, e sono sempre le stesse da anni. Instabilità persistente nelle regioni in conflitto, eventi climatici avversi in molte parti del mondo e rallentamenti economici che hanno colpito molti Paesi, determinando un peggioramento della sicurezza alimentare.
Il rapporto dell’Onu ha individuato conflitti e violenze come uno dei principali motori della fame e dell'insicurezza alimentare. Nel mondo dominato da un’economia «predatoria», come spesso ha affermato papa Francesco, dove il denaro muove gli interessi di pace o conflitto, l’ago della bilancia dovrebbero essere le donne, gli uomini e i loro diritti. E gli sforzi per combattere la fame dovrebbero andare di pari passo con quelli per sostenere la pace.
Tra le principali cause della grave crisi alimentare nel mondo c’è anche l’aumento di disastri legati al clima, tra cui il caldo estremo, la siccità, le inondazioni e le tempeste. Eventi che accadono con una frequenza doppia rispetto all’inizio degli anni '90; con una media di 213 di questi eventi che si verificano ogni anno. Questi danneggiano la produttività agricola contribuendo a ridurre la disponibilità di cibo, con effetti a catena che causano aumenti dei prezzi del cibo e perdite di reddito che riducono l'accesso delle persone al cibo.
In molte aree, gli estremi climatici sono aumentati in numero e intensità, in particolare dove le temperature medie si stanno spostando verso l'alto: le giornate molto calde sono sempre più frequenti e le giornate più calde diventano più calde. Il calore estremo è associato a un aumento della mortalità, a una ridotta capacità di lavoro, a rendimenti agricoli inferiori e ad altre conseguenze che minano la sicurezza alimentare e la nutrizione. Da anni si combatte contro la fame nel mondo con obiettivi, summit, report e molto altro, sollecitando la comunità internazionale a impegnarsi di più per ricomporre i conflitti e a raddoppiare gli sforzi per uno sviluppo sostenibile. Insomma, un invito a fare di più e più in fretta per arrivare entro il 2030 all’obiettivo “fame zero”.
Queste misure, però, sono davvero sufficienti? Se non si va alla radice del problema, si continueranno a fissare date e obiettivi, che verranno continuamente rimandati. Ciò di cui il nostro mondo ha bisogno, è una radicale inversione di rotta: da un’economia basata sulla profitto a un’economia davvero equa, sostenibile, solidale, meno legata all’imperativo della crescita del Pil.