Il compito che abbiamo in questo momento storico è quello di nutrirci e bere dalle nostre radici che, nella profondità di un mistero vitale, sono anche le radici di altre e altri, nel presente ma anche nel passato. Ci è chiesto di rientrare da un esilio a cui, donne e uomini, siamo costretti ogni giorno, sospinti dalle forze di un sistema che sembrano – e in effetti sembrano, ma non sono, anche se esercitano grande influenza – determinanti per le nostre vite. Inducendoci a ingoiare uno stile di vita che non è consono al respiro naturale dell’umano e nemmeno a quello degli altri esseri viventi, che formano un complesso ma bellissimo ecosistema, ricco in sapienza e grazia, almeno per chi prova ad ascoltarne il linguaggio.
Riscoprire le tracce
Le radici non sono un passato di perfezione perduta ma un sistema vivo e complesso, in cui si incontra il filo sapienziale della vita che appartiene ad ogni cultura e religione; tracce che altri ed altre hanno lasciato. Similitudini importanti per tornare a dialogare e comunicare fuori dalla logica del mercato e del denaro; fuori da ogni baratto fatto per interesse di potere e conquista; baratto di cervelli e risorse. Ci è chiesto di non essere più “depredatori”, ma, per abbandonare questo stile che accompagna da secoli popoli e individui, dobbiamo sapere chi siamo. Questo non avviene in una Europa segnata da nazionalismi e allo stesso tempo avida di globalizzare tutto l’ecosistema. Siamo in una situazione molto delicata, in balia di mode e vie di salvezza che portano a dimenticarci chi siamo. Vendiamo noi stessi: la nostra lingua, i nostri antichi gesti che trasformarono l’architettura in bellezza, la terra e i paesaggi in armoniosa dolcezza. Pur nelle contraddizioni e negli errori, chi ci ha preceduto ha lasciato scie di luce, nella pratica e nel pensiero.