La spiritualità è l’essenza trasformante della vita, come l’acqua della fonte che si rinnova; è prendere consapevo-lezza di chi siamo, ma soprattutto, di chi siamo chiamate a essere: è scoprire il “nostro posto” per donare appieno i nostri talenti. La spiritualità ci rende creative e generative; è l’impronta divina in noi.
Quando smettiamo di giudicare Dio, gli altri e noi stesse, essa cresce. Chi s’innamora ogni giorno della vita è capace di una gioia piena che contagia altri e altre.
Come comboniana, penso che oggi la nostra spiritualità sia come Cenerentola: non trova ancora il suo posto. La vita di Comboni, invece, era pervasa da un amore viscerale per la Nigrizia, che lo rese un “ribelle spirituale” per farla partecipe di un processo di rigenerazione.
Noi abbiamo tra le mani quella “scarpetta di Cenerentola” e il desiderio di cercare chi dovrà calzarla. Eppure tante persone hanno bisogno di essere accolte nella loro dignità vulnerabile e trovare il “loro posto”, sia fuori che dentro le nostre comunità.
La spiritualità ha radici nella creazione, nel prendersi cura della natura, coltivare la terra e condividerne i frutti; germina quando uniamo energie, desideri e talenti per creare comunità dove le ferite si rimarginano.
Forse abbiamo bisogno di liberarci da tutte quelle interpretazioni che hanno “soffocato” la nostra spiritualità in schemi tradizionali e istituzionalizzati che non rispondono al presente; forse dobbiamo avere il coraggio di reinterpretarla e incarnarla nel contesto di oggi.
Il neoliberalismo ci ha stordito a tal punto che non riusciamo più a sentire il grido della Terra sfruttata. Come donna avverto la bellezza di nutrire il gregge, come il “pastore bello” (Gesù di Nazaret) che aveva un cuore di madre e andava in cerca delle pecore fuori dall’ovile; e sono tante, sia nelle nostre comunità che nel nostro mondo. Tanti sono i nutrimenti di cui l’umanità ferita nell’amore ha bisogno: la cura, la tenerezza, l’accoglienza, il perdono, l’ascolto vigilante e generativo, la sicurezza economica, l’affetto.
La croce ci insegna ad aprire le braccia per abbracciare il mondo, sintonizzarci con i battiti del cuore dell’umanità per essere “uno”, in umiltà, senza protagonismo. Noi siamo per i mille volti e i mille colori, siamo per la diversità come ricchezza.
Trasformiamo, sì, il mondo, ma anzitutto quello che è dentro di noi, prima di credere di poter trasformare il mondo che è fuori!
E questa è davvero “spiritualità generativa”.