Nell’anno appena trascorso la polveriera del Medio Oriente è stata continuamente a rischio esplosione, con micce accese nei suoi tanti angoli di “guerre dimenticate”.
I media nostrani ne hanno parlato sporadicamente, in occasione di qualche evento particolarmente eclatante. La competizione fra le due principali potenze regionali, la Repubblica Islamica dell’Iran, portabandiera dell’Islam sciita, e il Regno dell’Arabia Saudita, portabandiera dell’Islam sunnita, affonda le sue radici nei secoli, ma sono gli interessi politici ed economici di oggi ad aver spaccato in due la regione. Svelare la complessità degli intrighi internazionali che la attraversano non è impresa facile.
Gli “uomini forti” dei due fronti hanno optato apertamente per la violenza. Qassem Suleimani era feroce e spregiudicato come i suoi avversari sauditi e israeliani. Portatore di morte, come loro: dallo Yemen, all’Iraq, dalla Siria alle milizie hezbollah in Libano e Palestina, hanno ucciso troppe persone innocenti.
E le donne?
Zeinab Sulemaini, figlia del generale iraniano ucciso per ordine del presidente Donald Trump, grida vendetta per la morte del padre, ma in Medio Oriente ci sono tante donne, ostinate portatrici di pace e riconciliazione.
All’inizio del 2020 è a loro che rendiamo omaggio, perché il loro sguardo vede lontano, oltre la spirale di violenza di oggi.
Shirin Ebadi, iraniana, giudice e avvocata dei diritti umani, premio Nobel per la pace nel 2003, vive in esilio ma non rimane in silenzio.
Nasrin Sotoudeh, iraniana, nell’aprile 2019 è stata condannata a 38 anni di carcere per aver difeso le donne che tra dicembre 2017 e gennaio 2018 avevano manifestato per strada togliendosi il velo.
E ancora, le donne di Women Wage Peace, che da anni riescono a superare barriere religiose e politiche per costruire relazioni di pace in Israele, Palestina… e oltre.
Grazie a loro, la pace non rimane soltanto una bella parola.