Arginare il contagio: questa è oggi la priorità assoluta da vivere insieme.
E le decisioni prese dal governo italiano con il Decreto Nuove misure per l’emergenza coronavirus sono coraggiose: tutto ciò che non è strettamente indispensabile a fronteggiare l’emergenza si fermi per un tempo, perché stare a casa è il modo più semplice ed efficace per bloccare la pandemia.
Ma fermare il comparto produttivo implica conseguenze molto pesanti, e il 24 marzo scorso alcune realtà italiane (Scuola di Economia civile, Banca Etica, Pax Christi, Movimento dei Focolari Italia, Mosaico di Pace) hanno sollevato una perplessità che Combonifem condivide pienamente: «Le aziende dell’Economia civile aderiscono con grande serietà al fermo delle loro attività e si stanno attivando in ogni modo per riuscire a salvaguardare la salute dei lavoratori e della cittadinanza. A fronte di un impegno diffuso e sofferto e del costo economico che tante aziende dovranno pagare nei prossimi mesi, come portavoci di un tessuto sano di imprese civili e sociali, constatiamo che l’industria incivile delle armi potrà invece continuare a lavorare anche in questo momento drammatico. In particolare continuerà la produzione degli F35 a Cameri (No). Un aereo che può trasportare anche bombe nucleari. Perché accanirsi in questa direzione? Quali interessi ci sono dietro a questo progetto? Con i soldi di un solo F35 (circa 150 milioni di Euro) quanti respiratori si potrebbero acquistare? Sappiamo di alcune industrie che stanno tentando di riconvertire almeno in parte la loro produzione. Questa è la strada da percorrere».
Questa pandemia già incoraggia a riconvertire alcune industrie e, forse, invita anche a ripensare la gestione dei flussi migratori.
Il settore agricolo aveva lanciato un primo allarme alla fine di febbraio, con il blocco dell’arrivo di manodopera stagionale dalla Romania. Il direttore generale della cooperativa Agrintesa di Faenza aveva detto: «Ai primi di maggio ricomincerà la raccolta nei campi ‒ dice - tra i lavoratori stagionali gli stranieri sono ormai il 60-70% e fra di loro i rumeni sono una quota importante. Non voglio nemmeno pensare a dovermi attrezzare per trovare un’alternativa».
Eppure, l’alternativa ci sarebbe già, entro i confini nazionali: la sanatoria dei migranti irregolari ai tempi del Covid-19.
Affrontare l’emergenza stimola la creatività per valorizzare al meglio le risorse esistenti.
Quali altre “conversioni” possiamo immaginare, con lo sguardo rivolto oltre il Covid-19?