Siamo nel mese di marzo, tradizionalmente dedicato alle donne, ma al tempo del Covid-19 tutto si dissolve, anche le molteplici iniziative sociali e culturali che tradizionalmente tingevano di “femminile” le città italiane e del mondo. E anche la Festa del papà, che ricorre oggi sotto gli auspici di san Giuseppe, uomo del rispetto, scorre in sordina.
In questi giorni tutto si concentra sugli sforzi per arginare il contagio e salvare vite umane, e l’isolamento volontario è l’impegno più semplice.
In Italia la quarantena domestica ha mille volti.
Ci sono persone ammalate, con tanto di febbre alta, che se ne stanno a letto in ansiosa attesa che “la febbre passi”, e ci sono persone anziane e sole alle quali volontari e volontarie provvedono generi di prima necessità.
Intere famiglie, recuperando il tempo per stare insieme, assaporano la gioia di cucinare, provvedere a piccole e grandi riparazioni e giocare con figli e figlie, anche dipingendo coloratissimi striscioni da appendere a balconi e finestre: «Tutto andrà bene!», rivelazione della mistica medievale Julian di Norwich che illumina questo tempo cupo.
Poi ricorrono variopinti flash mob per “socializzare a distanza”, cantando dal vivo e sui social: la fantasia non fa difetto per gestire al meglio l’obbligo di “isolamento responsabile”.
Ma ci sono anche disagi da “stress psicologico e fisico” indirettamente connessi alla pandemia: esplosioni violente fra coniugi causate da una vicinanza “forzata” e inusualmente prolungata.
Il 14 marzo un appello veniva rivolto da Se non ora quando al Presidente del Consiglio dei Ministri e alla Ministra delle Pari Opportunità: «Arrivano dalla Cina fondate notizie che i casi di violenza domestica siano aumentati drammaticamente quando le persone sono state messe in quarantena, in gran parte del Paese, durante l’epidemia di coronavirus.
Sembra che il numero dei casi denunciati nella città di Jingzhou della provincia di Hubei sia triplicato a febbraio, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Possiamo quindi prevedere che anche in Italia questo possa succedere, poiché per le donne vittime di violenza, restare a casa significa dividere per 24 ore gli spazi familiari con il proprio maltrattante, significa non avere più contatti con l’esterno e vedere diminuire drasticamente il proprio spazio personale».
La risposta non è mancata. Donne in rete contro la violenza, per esempio, ha divulgato informazioni dettagliate per assistere le vittime di violenza domestica in questo tempo di “chiusura” di tanti servizi. La ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, assicura: «Ci sono tante donne che vivono la violenza domestica e devono sapere che, anche se noi diciamo loro di rimanere in casa, il numero 1522 per denunciare la violenze subite è sempre attivo».
Garanzia di servizio ininterrotto anche dalla presidente di Telefono Rosa, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli: «Tutte le chiamate sono state deviate alle nostre volontarie e alle operatrici dei Centri anti-violenza, che risponderanno fornendo, attraverso l’ausilio di avvocate e psicologhe, consulenze legali e psicologiche telefoniche».
Sebbene tra l'8 e il 15 marzo le chiamate al 1522 risultino ridotte di oltre il 55% rispetto al 2019, questa emergenza nell’emergenza non è da sottovalutare. In Francia si afferma già che i casi di violenza domestica dovranno fare parte della strategia della gestione della cris» da coronavirus.
Del resto, questa è la settimana contro il razzismo, ovvero contro ogni forma di discriminazione e, come afferma Marinella Perroni, c’è ancora molto da fare «per superare la più radicale e odiosa delle discriminazioni, quella che si fonda sulla differenza di sesso».