Il 27 settembre ricorre la 106° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che dal 1914 la Chiesa cattolica celebra ogni ultima domenica di settembre per dare attenzione alla vulnerabilità delle persone “in movimento”.
È l’occasione per diventare più consapevoli delle sfide che esse devono affrontare, ma anche delle opportunità che ogni migrazione offre.
Quest’anno il messaggio di papa Francesco recepisce le ulteriori difficoltà migratorie imposte dalle frontiere chiuse per la pandemia: «Quando si parla di migranti e di sfollati troppo spesso ci si ferma ai numeri. Ma non si tratta di numeri, si tratta di persone! Se le incontriamo arriveremo a conoscerle. E conoscendo le loro storie riusciremo a comprendere.
Potremo comprendere, per esempio, che quella precarietà che abbiamo sperimentato con sofferenza a causa della pandemia è un elemento costante della loro vita. Le paure e i pregiudizi – tanti pregiudizi – ci fanno mantenere le distanze e spesso ci impediscono di “farci prossimi” a loro. Avvicinarsi al prossimo spesso significa essere disposti a correre dei rischi, come ci hanno insegnato tanti dottori e infermiere negli ultimi mesi, e va oltre il puro senso del dovere. Nel mondo di oggi si moltiplicano i messaggi, però si sta perdendo l’attitudine ad ascoltare. Durante il 2020, per settimane il silenzio ha regnato nelle nostre strade. Un silenzio drammatico e inquietante, che però ci ha offerto l’occasione di ascoltare il grido di chi è più vulnerabile, degli sfollati e del nostro pianeta gravemente malato…».
Ma questo invito ad ascoltare e comprendere per condividere, promuovere e costruire non sembra pervadere il nuovo patto europeo su migrazione e asilo: la solidarietà imposta come “obbligo” anziché assunta come scelta consapevole rivela una preoccupante “carenza di umanità”.
Il senso di vulnerabilità e disorientante incertezza che noi abbiamo vissuto a causa di covid-19, e che ancora continuiamo a vivere, ci potrà davvero far crescere in umanità?
Ce lo auguriamo, per il 27 settembre … e oltre.