Le religiose dell’Unione internazionale delle superiore generali hanno commentato l’enciclica Fratelli tutti, firmata ad Assisi il 3 ottobre scorso da papa Francesco, in omaggio alla sua fonte ispiratrice: san Francesco. Un testo lungo, articolato in otto capitoli e in cui ricorrono le parole “fraternità” (44 volte) e “solidarietà” (33 volte).
Le religiose, attente al linguaggio inclusivo, sottolineano la “sorellanza” e la necessità di aprire il locale all’universale. Il cammino da percorrere è quello della “vicinanza”, della “prossimità”, perché la pandemia ha travolto tutti e tutte, ma non allo stesso modo: ha accentuato le differenze fra chi può curarsi e chi no, fra chi non può più lavorare e chi lavora troppo, fra chi precipita nella povertà e chi, già galleggiando su migliaia di miliardi, aumenta ulteriormente i propri profitti.
Sulla stessa barca, ma non con gli stessi mezzi, come i migranti che solcano il mare: coloro che possono pagare meno finiscono nella stiva, e saranno le prime vittime soffocate dall’acqua che irrompe.
Nel mese di ottobre è atteso l’evento del Patto globale sull’educazione e a novembre quello globale sull’economia: in tal modo il Papa cerca di integrare ambiti distinti che però concorrono insieme a condizionare la qualità della vita e delle relazioni.
Sebbene le sfide non manchino, le religiose sono già da tempo impegnate concretamente ad affermare la pari dignità delle persone e promuovere incontri che trasformano la percezione e le prospettive: nelle migrazioni, nel contrasto alla povertà e alla tratta, nelle scuole e negli ospedali, con le persone più fragili e “scartate”. La loro è una “buona politica” vissuta lontano dai “palazzi” del potere, ma attenta a nutrire il dialogo e una vera amicizia sociale.
La Chiesa farebbe bene a riconoscere di più, e non solo a parole, il contributo delle donne, come la società farebbe meglio a valorizzare molto di più il loro indispensabile apporto per plasmare in modo nuovo la società al tempo del covid.