Dal 1993, il 24 marzo scandisce una ricorrenza velata di dolore e meraviglia: è la giornata dei e delle “martiri”, uomini e donne che pagano di persona per ciò in cui credono, anche a costo della propria vita.
La data è stata scelta in memoria di Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador assassinato il 24 marzo 1980 mentre celebrava l’eucaristia. Così aveva risposto alle minacce di morte: «Se mi uccideranno, risorgerò nel mio popolo». Concretamente la sua fede si traduceva nel denunciare con coraggio ed empatia l’ingiustizia che opprimeva il popolo salvadoregno.
La Chiesa cattolica in Italia, su iniziativa di Missio Giovani, ha marcato la giornata con una scia di riflessioni: “Vite intrecciate”. Dalla prospettiva cristiana, l’intreccio è con la vita di Gesù, ma queste righe allargano la prospettiva alla dignità di ogni persona, che il nazzareno ha affermato oltre ogni pregiudizio religioso, sociale e culturale.
“Martiri” non sono soltanto coloro che muoiono: sono coloro che soffrono, e spesso subiscono prigionia e tortura, per difendere la dignità di ogni persona. Sono tanti e tante, oltre ogni religione.
Oggi ricordiamo alcune contemporanee, divenute “martiri” per aver affermato con coraggio la dignità propria e di altre donne.
Nasrin Sotoudeh, sposa e madre, avvocata iraniana vincitrice del premio Sakharov è arrestata nel 2018 per aver difeso le donne del suo Paese che protestavano contro l’obbligo di indossare il velo; per questo deve scontare altri 12 anni di carcere.
Eren Keskin, avvocata turca, nel suo Paese difende le donne vittime di violenza: il 15 febbraio 2021 è stata condannata a 6 anni e 3 mesi di carcere per la sua attività. Il rapporto di Stockholm Center for Freedom, organizzazione svedese per i diritti umani, nel 2017 aveva accusato la Turchia di arrestare sistematicamente le donne per intimidirle e soffocarne la voce, ma loro continuano a protestare. A migliaia sono scese in piazza dal 20 marzo 2021: contestano la decisione del presidente Recep Tayyip Erdogan di ritirare il Paese dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere.
Anche la giovane Loujain al-Hathloul è stata condannata a 5 anni per aver difeso l’autonomia delle donne: il 16 maggio 2018 viene arrestata con altre attiviste per aver guidato l’auto, attività allora proibita nel Regno saudita. Con lei oggi possiamo rallegrarci: è stata liberata il 10 febbraio scorso. L’intervento del neopresidente Usa, Joe Biden, le ha risparmiato il resto della pena.
In questo tempo segnato da un crescente numero di femminicidi e di violenze contro le donne, tante altre continuano a essere “martiri”, anche anonime, di una fede profonda: quella che tutte le persone hanno stessa dignità e stessi “diritti umani”.