Nei giorni del triduo pasquale le Chiese cristiane condensano l’essenza dell’insegnamento e della vita di un rabbino ebreo, Gesù di Nazareth.
Dalla cena del giovedì alla sepoltura del venerdì sera, i Vangeli raccontano in dettaglio le sue ultime ore di vita: dal tradimento all’arresto, dal “processo farsa” alla crocifissione, supplizio atroce riservato a ribelli molto pericolosi e a omicidi.
Poco emerge, invece, del perché Gesù sia stato così pericolosamente “sovversivo”.
La condanna del rabbino di Nazareth scaturisce dall’odio di influenti sacerdoti e dottori della legge che lo accusano di “blasfemia”: in effetti, a partire dall’inizio della sua vita pubblica, lo stile relazionale di Gesù aveva dissolto la paura del “sacro” e incluso tutte le persone escluse; fra queste le donne.
Esse si sentono da lui trattate “alla pari” e abilitate a compiere gesti ritenuti inaccettabili dalla società del tempo. Alcune erano sue discepole, cosa riservata esclusivamente agli uomini, altre irrompono con libertà in varie circostanze e lo inducono ad ampliare i suoi orizzonti, altre ancora ne riconoscono la “regalità” con l’unzione. Non lo abbandonano neppure quando la condanna lo impala sulla croce.
Dispiace che le Chiese cristiane, che a Gesù si richiamano, facciano tanta fatica ad assumere il suo lascito inclusivo: quando le campane suoneranno a festa la notte di Pasqua, ricordiamoci che la Resurrezione rimane incompiuta fintanto che le Chiese non si convertiranno a riconoscere appieno la pari dignità di ogni persona, incluse le donne.
All’alba di quel “giorno dopo il sabato” non sono state proprio loro le prime messaggere dell’incredibile?
La vita di chi alimenta la dignità altrui non rimane mai nella tomba: risorge!