Nella ricorrenza del 4 novembre, che marca la fine della Seconda guerra mondiale e la Giornata delle Forze armate italiane, celebriamo la “giustizia” intenta a smantellare ogni forma di violenza, inclusa quella che aleggia nelle carceri.
Il 3 novembre 2021, la ministra della Giustizia e paladina di quella riparativa, Marta Cartabia, ha firmato una convenzione con il ministro della Cultura, Dario Franceschini, per aprire le porte di 52 siti culturali a 102 persone in attesa di giudizio per reati che prevedono una pena massima di 4 anni.
Dal 2014, già 23.705 persone sono state “messe alla prova” in servizi di pubblica utilità attraverso convenzioni con Croce Rossa, Legambiente, Fondo ambiente italiano e Federparchi; altre 8.600 svolgono un lavoro come esecuzione di una condanna lieve, ma questa è la prima collaborazione tra due Ministeri della Repubblica per promuovere la giustizia come riparazione del danno inflitto alla società.
La guardasigilli precisa che la pena assume una valenza rieducativa e valorizza coloro che, in attesa della sentenza, possono offrire con le loro competenze professionali un contributo qualificato anche negli archivi e nei siti culturali.
Il percorso di riparazione è a beneficio della persona che ha sbagliato ma anche del sistema giudiziario: la prima nello svolgimento del servizio può ottenere per buona condotta l’estinzione del reato, mentre i tribunali vengono alleggeriti dall’eccessivo carico di pratiche e le carceri dal sovraffollamento.
Ancor più importante è evitare la detenzione a coloro che hanno sbagliato ma non sono criminali.
Il valore della “riparazione” emerge appieno nelle storie di vita che Lucia Aterini raccoglie nel libro La goccia che apre le ombre, perché senza “grazia” la “giustizia” può diventare un abominio.