Poche, ma sentite parole, sottoscritte e divulgate da più di 4.000 persone.
«Noi, studenti, laureati, insegnanti, personale e laureati della più antica università russa, l’Università statale di Mosca intitolata a M.V. Lomonosov, condanniamo categoricamente la guerra che il nostro Paese ha scatenato in Ucraina». Sono uomini e donne di cultura e di scienza della Federazione russa, il cui governo censura la parola “guerra” e persegue nei media una propaganda cieca e martellante: «Chiediamo a tutti i cittadini (e cittadine) della Russia che hanno a cuore il suo futuro di unirsi al movimento per la pace. Siamo contro la guerra! #NoWar».
La contrapposizione etnico-nazionalista russa-ucraina è dissolta da questo appello e ancor più da gesti di incredibile coraggio, che soltanto un silenzio commosso può accogliere: Marina Ovsjannikova, con creatività e determinazione, il 14 marzo irrompe in diretta nel notiziario del canale televisivo più popolare. Sul cartello è scritto: «No guerra, non credete alla propaganda». La giornalista, madre di due figli, è immediatamente fermata e sottoposta a un pressante interrogatorio; sanzionata con una multa di circa 255 euro, rischia 15 anni di carcere: «Ho paura per i miei figli ma non lascio la Russia».
Prima di lei, ad altre “amiche dell’umanità” e della pacifica convivenza è andata peggio.
Il 6 marzo Aleksandra Kaluzhskikh aveva registrato le torture subite, poi divulgate da Ovd-info: secondo questo canale di informazione ben oltre 15.000 dimostranti hanno subito arresto e tortura per aver invocato la pace. Tra di loro Anastasia, Kristina, Ekaterina, Tatjana e Marina Morozova. Anche lei è riuscita a registrare l’interrogatorio e inviarlo alla testata Novaja Gazeta.
Sono tutte giovani professioniste e studenti universitarie che hanno manifestato pacificamente; la repressione violenta delle manifestazioni non ha risparmiato né uomini né donne, ma lo stupro purtroppo è riservato alle donne.
Dal 15 al 21 marzo, in occasione della XVIII Settimana contro il razzismo, è importante far conoscere storie positive che neutralizzano l’odio etnico.
Il progetto C'era una (S)volta lo fa in Italia con un sito, una mostra virtuale e un podcast frutto di ampia collaborazione, ma in Russia le incredibili “amiche della pace” lo dicono e lo vivono con il coraggio sublime della non-violenza.