Lo scorso 7 novembre ricorrevano 150 anni dalla nascita di Maria Skłodowska, più nota come Marie Curie. Di origine polacca, nel 1891 si reca a Parigi, per studiare fisica e matematica.
L’accademia riconosce che fu lei ad iniziare la ricerca sulle radiazioni, prima da sola, poi con l’aiuto del marito Pierre Curie. È lei che nel 1903 pubblica la “Ricerca sulle sostanze radioattive”, ma in quel tempo il premio Nobel non può essere conferito a una donna, così viene consegnato congiuntamente a Pierre e a Marie. Lei aveva già le mani scarificate dalle radiazioni.
Oggi le donne possono essere insignite di un premio Nobel senza bisogno di copertura maschile, ma ci sono ancora tante, troppe donne, il cui valore e la cui dignità non vengono riconosciuti.
Anche questo costituisce violenza sebbene, a differenza delle aggressioni fisiche e dei femminicidi, non attiri l’attenzione dei media.
E che dire delle donne costrette a prostituirsi per sopravvivere? Quanta violenza si accumula nel loro corpo, costretto a fare ciò che la loro volontà rifiuta. Sono tante e giovanissime, trafficate dalla Nigeria e da altri Paesi per soddisfare “la fame di sesso” di tanti uomini italiani ed europei.
Spesso diventano persone dissociate…. vite distrutte, e chi ne parlerà in occasione della Giornata internazionale della violenza contro le donne?
Per l’iniziativa di alcune donne che non si rassegnano a prendere atto di questo scenario, questa violenza sommersa e nascosta è fatta oggetto di un seminario di studio. Il 28 novembre all’Università Lumsa di Roma: “Migrazioni e tratta”. Con pochi mezzi hanno attivato una bella rete di collaborazioni.
E per sostare più sulle storie di vita che sui numeri della tratta, hanno allestito dei laboratori davvero originali, che valorizzano l’arte per meglio ascoltare, raccontare e denunciare.
Non delegano ad altri questo impegno, perché per dissolvere la violenza è necessario rivelarne le radici, ascoltare le vittime e agire…
E tocca a ciascuna e a ciascuno di noi, prima che sia troppo tardi!