Il 10 dicembre 2018 la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani compie 70 anni: auguri!
Il suo linguaggio suona un po’ antiquato, perché il termine “razza”, per esempio, non sarebbe più da usare al giorno d’oggi. E anche la formulazione originale di alcuni paragrafi e del titolo, “Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo”, è stata aggiornata negli anni perché riservava ben poca attenzione alla “donna”.
Ma i principi della Dichiarazione riconoscono la stessa dignità «a tutti i membri della famiglia umana», che hanno diritti uguali e inalienabili a garanzia «della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Un orizzonte globale!
Quello storico giorno del 1948, però, già mise in evidenza che non tutte le 58 nazioni che allora costituivano l’Onu si impegnavano ad attuarla: Arabia Saudita, Bielorussia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia, Russia, Sudafrica e Ucraina si astennero, mentre Yemen e Honduras non parteciparono al voto.
E oggi possiamo aggiungere che molti Paesi firmatari continuano a disattenderla, discriminando senza ritegno donne, minoranze e dissidenti politici.
Per questo c’è chi parla di “Diritti a marcia indietro” e chi denuncia le preoccupanti violazioni che deturpano ripetutamente il volto dell’umanità.
E la Dichiarazione parla di “diritti e doveri”. L’articolo 29 recita: «Ogni persona ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità…».
Essenziale il dovere di sentirsi responsabili per la libertà, la giustizia e la pace nella comunità e società di appartenenza. L’impegno civile va a braccetto con una coscienza personale e una consapevolezza che non si lasciano ingabbiare da pregiudizi fuorvianti e contrapposizioni preconcette.
Giovanni Diamanti, studioso di opinione pubblica, ha evidenziato il devastante divario fra "percezione" e "realtà" che affligge la popolazione italiana: fra i Paesi occidentali si aggiudica l'indecoroso primato, seguita a distanza dagli Usa.
Fra le cause addotte, il basso livello di istruzione e la disinformazione seminata da slogan politici ospitati in programmi televisivi a caccia di audience e consenso.
La fatica di verificare contenuti distorti passivamente ingeriti con i telegiornali e talkshow di turno o assunti acriticamente via “social” è un “dovere”, come lo sforzo di comprendere meglio le rapine e i massacri che certe multinazionali infliggono oltre i confini europei.
Per non “an-negare” l’articolo 13 della Dichiarazione - «Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese…» - spalanchiamo lo sguardo sul mondo: se un diritto viene meno anche per una sola persona, viene meno per tutte.
Celebriamo con entusiasmo i 70 anni della Dichiarazione: impegniamoci a conoscere e riconoscere meglio i diritti nostri e altrui, per trasferirla progressivamente “dalla carta alla vita”.
E nelle piazze d’Italia aderiamo a #dirittiatestaalta