Ormai i segnali che dobbiamo cambiare ci sono tutti, e sappiamo anche cosa dovremmo fare. Sappiamo che dovremmo cambiare parco energetico, che dovremmo orientarci verso un’economia circolare, che dovremmo cambiare modelli di consumo, cambiare approccio rispetto ai rifiuti... Sappiamo, ma non agiamo. O meglio, agiamo ancora con troppa lentezza. Basti dire che di tutta l’energia che consumiamo a livello mondiale, l’80% proviene ancora da combustibili fossili. Non solo petrolio e gas, che assieme coprono il 53% del fabbisogno energetico mondiale, ma anche carbone (assai più inquinante), che interviene per il 28%. E se guardiamo al modo in cui produciamo energia elettrica, per certi versi la situazione è ancora più riprovevole: benché esistano ottime tecnologie nel settore delle rinnovabili, i fossili la fanno ancora da padroni. Il 40% dell’energia elettrica mondiale proviene da centrali a carbone mentre acqua, sole e vento contribuiscono solo per il 25%.
Scelte politiche
Le ragioni della nostra lentezza si possono imputare a pigrizia e a scarsa sensibilità, ma anche a difficoltà oggettive dovute al fatto che tutto è ancora organizzato sul vecchio modello. Vorremmo viaggiare in autobus, ma i servizi pubblici sono scarsi e male organizzati. Vorremmo riparare gli oggetti, ma sono ancora costruiti per l’usa e getta. Vorremmo prodotti con meno involucri, ma le aziende ce li offrono ancora pieni di imballaggi. E allora, per accelerare la transizione, servono delle spinte, degli interventi esterni che in qualche modo ci sollecitino, per non dire ci obblighino, a intraprendere nuovi cammini. Un ruolo che può essere svolto dalle autorità pubbliche, che hanno vari strumenti a propria disposizione. La legge prima di tutto.
Nel 1991 in Germania passò un provvedimento che imponeva ai produttori di riprendersi gli scarti da imballaggio: d’incanto le confezioni diminuirono e altri Paesi hanno seguito l’esempio. Nel 2002 l’Unione Europea ha varato una direttiva che obbliga i produttori di apparecchiature elettroniche a riprendersi computer, telefoni cellulari e quant’altro non sia più funzionante. Sono esempi di legislazione destinati a produrre effetti anche sulle politiche commerciali: l’azienda che sa di doversi riprendere indietro le carcasse dei propri prodotti non ha più interesse a vendere, ma ad affittare. Auto, bici, elettrodomestici, pannelli solari, perfino passeggini: sono molti ormai i prodotti di cui le aziende vendono servizi piuttosto che il bene. In Svezia, Electrolux ha avviato un progetto pilota nell’isola di Gotland denominato “paga a lavaggio”, che prevede l’installazione di lavatrici con contatore leggibile a distanza via computer. La lavatrice rimane di proprietà dell’azienda, le famiglie pagano solo in base all’uso.
Dai beni ai servizi
Vendendo “servizi” invece che “beni”, le aziende hanno l’interesse a costruire “beni solidi”, fatti per durare ed essere riparati. Solo ciò che è obsoleto e non più riparabile viene “eliminato” o, meglio, ristrutturato. È ormai attivo un settore di ricerca per ricostruire beni ottenuti con pezzi provenienti da prodotti dismessi.
E come “consumatori” possiamo fare la nostra parte per sollecitare il riuso in ambito produttivo: dobbiamo abbandonare la logica del possesso e orientarci verso quella del servizio, perché il nostro interesse non è possedere l’automobile e la lavatrice, quanto soddisfare il nostro bisogno di mobilità e pulizia. Se entrassimo in questa logica scopriremmo che la condivisione, l’uso in comune dei beni, è la forma di consumo più intelligente perché consente un notevole risparmio di materiali. Il trasporto pubblico ne è un esempio comune, ma esistono anche lavatrici a gettone, attrezzi condivisi fra condomini o amici.
La “tassa” nella manica
L’altro grande strumento che l’autorità pubblica dispone per orientare il comportamento di cittadini e imprese è il sistema fiscale. Può condizionare le scelte personali attraverso due strategie contrapposte: punizione e premio. Punizione, sotto forma di inasprimenti fiscali per scoraggiare i comportamenti nocivi; premio, sotto forma di contributi per incoraggiare i comportamenti virtuosi. Al momento, le aliquote delle imposte sui consumi sono differenziate solo per livello di bisogno soddisfatto dal bene in questione: nel rispetto di criteri di giustizia, sono basse sui beni di prima necessità e più alte su quelli voluttuari.