L’argomento principale doveva essere il clima. Poi Roma è stata invasa di Suv e Jeep blindate - quasi ottanta solo per il presidente americano - ed è normale chiedersi che impatto ha, a livello ambientale, anche solo questa singola visita? Più in generale, quanto inquinano i grandi del G20?
I dati Ispi segnalano che le venti nazioni del summit in corso a Roma emettono tre quarti della Co2 mondiale e ne disperdono il 79% del totale prodotto ogni anno. Gli altri 188 Paesi della Terra si dividono il restante 24%. Eppure ancora non è radicato il senso di responsabilità e di urgenza verso la degenerazione climatica che il nostro paese sta vivendo.
«Per la prima volta il G20 si è preso l’impegno di garantire l’aumento della temperatura entro il grado e mezzo, con impegni immediati e a medio termine», ha spiegato il premier italiano. Per la prima volta dopo innumerevoli appelli, petizioni, movimenti - ma anche disastri, spostamenti, crisi - i premier mondiali si sono trovati d’accordo nel condividere il senso di urgenza della questione.
Un senso di soddisfazione ha chiuso il G20, per quanto riguarda gli accordi ambientali. Tuttavia non ci troviamo d’accordo. Più che altro, non basta. Il G20 non è certo il luogo principale dove prendere decisioni vincolanti sul clima e sugli impegni dei singoli stati. Ma si è tenuto proprio appena prima della COP26, dove invece queste decisioni andrebbero prese!
Eppure ci ritroviamo soddisfatti di una ammissione comune, e ci rendiamo conto solo dopo che nel documento finale viene messo nero su bianco che l’obiettivo del 2050 è stato sostituito da un vago «entro o attorno alla metà del secolo». Una mossa pragmatica per tenere dentro anche le riluttanti Cina e Russia (che hanno indicato il 2060 come possibile deadline) oppure l’evidenza dell’ennesimo accordo a metà, come ha scritto.
Val la pena ricordare che secondo il rapporto UNEP sulle emissioni globali, entro il 2030 bisognerebbe tagliare le emissioni del 30% per raggiungere l'obiettivo dei 2 gradi e del 55% per raggiungere l'obiettivo di 1,5 gradi (ad oggi il taglio delle emissioni si ferma invece al 7,5%). Per farlo “i grandi” hanno bisogno di un contributo significativo anche da parte dei paesi in via di sviluppo e a più rapida crescita demografica. E a questo proposito sono stati stanziati 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2025, ma rimane da vedere se poi questi fondi verranno effettivamente elargiti.
Un altro importante rapporto, pubblicato della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici con il supporto di European Climate Foundation e con il contributo scientifico di Enel Foundation, riscontra che nei paesi del G20, senza un’azione veramente urgente per ridurre le emissioni climatiche, le perdite di PIL causate dai cambiamenti climatici potrebbero raggiungere il 4% all’anno entro il 2050, valore che potrebbe superare l’8% in un più generico “attorno a metà secolo”.
Ma neppure questo ha reso essenziale mettere dei punti fissi e imprescindibili.
Eppure, ad oggi, ogni anno, ogni giorno, è essenziale.