«No al gestore unico del centro e sud Italia. Il piano delle multinazionali francesi Suez e Veolia deve essere fermato con ogni mezzo democratico», questa la posizione espressa dalla Rete a difesa delle fonti d’acqua nel mezzogiorno d’Italia, riunitasi a Bari il 7 ottobre scorso. Presenti i rappresentanti di tutte le regioni del distretto appenninico e non solo, che hanno ricostruito e discusso il progetto di occupazione delle sorgenti idriche messo in campo dalle lobby.
«I cambiamenti climatici e l’inquinamento riducono l’acqua e le corporation si accaparrano quella disponibile – dice il referente pugliese della Rete – con l’obiettivo di speculare sulla sete dei cittadini».
Dal confronto è emersa la centralità dell’acquedotto pugliese. «Se Emiliano non è in grado di fronteggiare le pressione del Governo e delle multinazionali, abbia il coraggio di lasciare e torni a fare il magistrato – affermano gli attivisti della Rete – chiediamo all’uomo di legge di assumere una posizione chiara nel rispetto della Costituzione della Repubblica italiana». La Carta di Bari fa propria la risoluzione 64/2010 della Nazioni Unite che proclama il diritto universale all’acqua e chiede al Governo e al Parlamento italiano di nazionalizzare la gestione delle fonti dell’acqua, come previsto dall’articolo 42 della Costituzione e alle regioni di programmare e sostenere le ripubblicazioni.
Le lobby premono per privatizzare anche i 2mila comuni d’Italia che resistono con le gestioni in economia nel rispetto del referendum del 2011. Puntano ai 60 miliari per gli investimenti, che l’autorità li autorizza a prelevare in bolletta. L’Italia già privatizzata ristruttura le reti con una media di 3,8 chilometri all’anno. Per ripararle tutte ci metteranno 250 anni creando emergenze idriche.
La Cassa del mezzogiorno, gestione pubblica del dopoguerra, ha costruito 23 mila chilometri di reti idriche con fondi pubblici in meno di 30 anni portando l’acqua in tutte le città del centro sud Italia.
Suez e Veolia (l’una controllata dallo Stato francese, l’altra dalla Cassa depositi francese) sono state cacciate in oltre 50 gestioni dell’acqua in Francia, compresa Parigi a causa dei disastri che hanno prodotto. Hanno spostato i loro interessi in Italia dove le multinazionali francesi già controllano l’acqua nel Lazio, l’Acea e Acqualatina, in Umbria, Umbriacque, in Campania la Gori, la Gesesa e Acqua campana, in Calabria influenzano la Sorical e hanno puntato il Molise e la Basilicata. Stanno allungando i loro tentacoli sull’Abruzzo, la Sicilia e altre regioni d’Italia. «Un piano industriale id medio termine – dichiara la referente campana – che punta ad accorpare in un unico grande soggetto non solo l’acqua, ma anche i rifiuti, i trasporti e l’energia, per acquisire il controllo dei servizi pubblici locali di oltre 15 milioni di abitanti».