Dal 2001 L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha indetto per oggi la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell'ambiente in guerra e nei conflitti armati.
«L'ambiente, nel momento in cui le guerre sono in corso, non viene minimamente considerato – scrive Maurizio Simoncello, vicepresidente e cofondatore dell'Istituto di Ricerche internazionali Archivio Disarmo – si pensa solamente a distruggere il nemico e a rendergli impossibile l'avanzata. È solamente dopo, quando ‘scoppia’ la pace che la popolazione civile si trova a dover affrontare una catastrofe di tipo ambientale, oltre che di tipo economico, problemi di inquinamento del territorio, di radioattività e quant’altro».
Si tende a contare le vittime delle guerre in termini di perdite militari e civili, di città distrutte e di costi dei mezzi di sussistenza. E l'ambiente rimane l'unica vittima non pubblicata. Pozzi d'acqua inquinati, raccolti arati, foreste tagliate e animali uccisi per ottenere un vantaggio militare.
Nella storia recente, l’ambiente ha subito danni enormi a causa della guerra. In Cambogia, il 35 per cento della copertura forestale è stata distrutta in venti anni di scontri armati. Durante la Guerra del Golfo del 1991, sono stati deliberatamente incendiati pozzi petroliferi in Kuwait e milioni di litri di petrolio si sono riversati in mare. In Angola, la guerra civile, iniziata nel 1975, ha provocato la scomparsa del 90% della fauna selvatica. Mentre in Vietnam, durante la guerra, milioni di tonnellate del famigerato agente arancio sono state sparse dalle forze statunitensi in varie zone del Paese.
Queste aree, ancora oggi, non possono essere coltivate. La salvaguardia ambientale, come nel caso della Repubblica Democratica del Congo, è anche minata da sempre più consistenti flussi di profughi, che fuggendo in massa da zone di conflitto, provocano un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e delle falde acquifere. Gli effetti, spesso, sono a lungo termine.
Emergenze ambientali legate alla guerra e ai conflitti armati si riscontrano ancora oggi nei Balcani, in Iraq, in Liberia e nei Territori Palestinesi. Il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente ha rivelato che negli ultimi 60 anni almeno il 40 per cento dei conflitti interni ai Paesi sono stati connessi allo sfruttamento delle risorse naturali, sia di alto valore, come il legname, i diamanti, l'oro e olio, sia di comune quotidianità come la terra fertile e acqua.
Per questo è necessario che molte energie vengano impiegate per la protezione della nostra casa comune nel prevenire i conflitti e costruire la pace: perché nulla, nemmeno la pace, può durare se vengono distrutte le risorse naturali che garantiscono la sussistenza e il mantenimento degli ecosistemi.