Prima di addentrarci nel tema del diaconato femminile sarà bene forse definire chi siano state e siano le diacone. Soprattutto alla luce della successiva corsa a rendere esplicativa la risposta papale alle religiose, corsa resa necessaria (per alcuni) per sottolineare come questa “storia” del diaconato femminile non avesse nulla a che vedere (non sia mai…) con il discorso del sacerdozio e dell’ordinazione. Una specificazione che si accompagna subito ad un’altra: questa discussione non c’entra niente con il femminismo…
E allora partiamo, come si usava dire quando si era tra i banchi di scuola, dall’etimologia, che sempre arriva in soccorso: il termine in questione, “diacona”, deriva dal greco diakonos e viene declinato sia al maschile che al femminile. E questo, di per sé, è già un dato di fatto… Poi, con la Chiesa di lingua latina diventa diaconus (al maschile). In Bitinia, scrive la religiosa Moira Scimmi, il governatore Plinio il Giovane, parlando di due donne cristiane, usa il termine ministrae. Perché questo è uno dei due significati che vengono dati alla parola diakonos: servo/a e ministro/a, inteso, quest’ultimo, come chi si occupa di quel ministero ecclesiale.
La prima diacona di cui sia rimasta traccia nella tradizione della Chiesa (tanto da essere invocata nei rituali di ordinazione) è Febe, raccomandata da Paolo (Rm 16,1-2) come una «sorella, che è diacona della Chiesa di Cencre… è stata protettrice di molti e anche di me stesso». Febe viene evocata nei rituali come figura «pari agli apostoli»; ha infatti «ricevuto dal Signore Maestro la grazia della sua diaconia ed è stata chiamata all’opera del ministero».
Inizialmente, nelle comunità cristiane, a coloro che rivestivano il servizio di diacone venivano richieste caratteristiche analoghe a quelle degli uomini e anche loro, «che avevano accolto l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto, avevano ricevuto il battesimo – scrive Scimmi –, si riunivano nelle case a spezzare il pane».
Tra passato e presente
Lasciamo questo discorso sulle origini suggerendo, a chi volesse approfondire il filo della narrazione storica, la lettura della seconda parte di Donne diacono? La posta in gioco, e continuiamo invece chiarendo ciò che il Codice di diritto canonico intende e stabilisce riferendosi al diaconato. Chi sono dunque i diaconi? Sono coloro che, «diversamente dai vescovi e dai presbiteri – scrive Cristina Simonelli –, non agiscono “nella persona di Cristo capo” bensì “vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità”».
Abilitati a servire, dunque. E qua, subito, la teologa Simonelli cita Francesco e una sottolineatura importante, perché spesso è su questo “essere al servizio” che s’insinua la prima distinzione di genere funzionale al maschile. C’è infatti una grande differenza tra servitù e servizio. E spesso, il Papa lo esplicita, le donne consacrate si trovano a dover svolgere la prima, perché «il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servidumbre».