Oggi molte persone – giovani e non solo – non hanno troppa simpatia per la storia, ritenuta noiosa o a volte anche dannosa, perché rischia di fare di noi delle persone girate indietro, mentre nella corsa vorticosa imposta dal sistema attuale già il presente fatica a fermarsi, inclinato costantemente verso il futuro. Colpisce però trovare delle costanti nella documentazione che attraversa i secoli. Termini che risuonano anche nella contemporaneità. In “Bibbia e Donne” – che ha rintracciato 500 anni di Riforma e di riforme – alcune parole ci hanno colpite proprio per la trasversalità: curiosità, – emergenza, – decoro. Il loro uso, anche al di là del significato, è profondamente rivelatore, perché dipinge dei problemi e dei fantasmi che non smettono di aggirarsi nelle nostre comunità.
La curiositas infatti indica qualcosa a cui le donne sarebbero portate e che invece dovrebbero evitare, perché le porta a porsi delle domande, a indagare le Scritture, a mettere in discussione gli ordini stabiliti, siano quelli delle Chiese che quelli delle società e del mondo. Dovrebbero piuttosto essere semplici e disponibili a farsi pilotare: modo decisamente perverso di rovesciare i termini evangelici. Giustamente le donne – e, insieme a loro, chiunque sia stato lasciato ai margini – hanno mostrato curiosità, cioè formulato domande e attivato pratiche trasformative.
Altra parola ricorrente è quella di emergenza: sta a significare che i quadri costituiti sono maschili, un po’ in tutte le Chiese, e non prevedono le donne, che però possono dare il proprio contributo al di fuori della famiglia in caso di emergenza. Modo veramente singolare di interpretare Gal 3,28 e anche di riconoscere l’opera delle donne, presente e importante (le riflessioni in merito di Daniele Comboni sono luminose!), ma che deve sempre trovare una giustificazione di supplenza. Alcuni testi canonici cattolici, fra cui il canone 230, dicono che i laici (dunque le donne) possono in certi casi predicare nelle liturgie della Parola deficientibus ministris, che vuol dire appunto “se mancano i ministri ad esso deputati”. Le donne tuttavia hanno spesso considerato che l’emergenza vera, per la quale “ne va di loro”, non sia quella delle supplenze, ma semplicemente l’urgenza del Vangelo. E così continuano a comportarsi.
Ultimo termine che sottolineo è quello di decus, di decoro: strano vederlo tornare con tanta insistenza! Il Vangelo vede un Rabbi che oltrepassa i confini e le convenienze, che attraversa gli interdetti – etnici, di genere, della Legge – per annunciare un altro mondo possibile: il Regno di Dio. Per questo viene ucciso con il supplizio degli infami: e che c’entra il decoro?
Di fatto i passi biblici e le pratiche che riguardano le donne (anche il velo sul capo in segno di exousia = autorità in 1Cor 11,15) vengono interpretati come questioni che riguardano il “buon costume”, in assenza del quale le donne sono “poco di buono”, coinvolgendo nel disonore gli uomini a loro legate. Certo oggi non diciamo così con queste stesse parole, ma, se guardiamo bene, molte considerazioni sui ruoli femminili nella Chiesa, alla fine, non se ne allontanano troppo!
Tuttavia, l’unico decoro che veramente cerchiamo e l’emergenza da cui ci sentiamo sospinte e che attiva ogni domanda trasformante sono semplicemente quelli del Vangelo, che ha spazio e urgenza per ogni persona.