Questo saluto ebraico, che in italiano abbiamo tradotto semplicisticamente con “pace”, esprime molto di più. Augura che la vita si dipani ogni giorno in tutto il suo splendore, che dentro e fuori diffonda generosamente armonia e nutra relazioni accoglienti.
«Shalom!» è il saluto che ricorre sulle labbra di un uomo che è stato tradito, lasciato solo da coloro che chiamava “amici”; che è stato deriso, calunniato e condannato a morte per aver osato parlare di Dio come il papà che attende e abbraccia con tenerezza il figlio ribelle quando torna a casa, come il pastore che cerca con dedizione la pecora smarrita e come la casalinga che nella sua umile abitazione accende la lucerna e setaccia ostinatamente la terra battuta del pavimento per cercare la moneta che aveva perso. Non era di grande valore, ma quando la trova chiama amiche e vicine per far festa. Un Dio così non incute più paura.
Gesù di Nazaret, il rabbino ebreo che ha apprezzato le donne allo stesso modo degli uomini e ha prestato attenzione a ogni richiesta di aiuto senza distinguere tra lebbrosi, capi dei farisei, prostitute e militari romani, era libero dalla paura e da essa liberava coloro che incontrava, che fossero del suo popolo o di popoli stranieri e ostili. Flagellato e torturato, osa perdonare chi gli infligge la morte atroce riservata nell’Impero Romano a criminali, omicidi e attentatori politici: la crocifissione.
Chi libera dalla paura e vive senza violenza diventa una minaccia da crocifiggere, ma non rimane nella tomba, e a coloro che lo hanno tradito e abbandonato augura con insistenza: «Shalom!».
La brutale aggressione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, come ogni altra violenza distruttiva in tante altre parti del mondo, tenta di soffocare lo shalom: «In guerra si perde molto di più delle risorse naturali – nota Antonietta Potente –; si perde la vita. Si perdono i fiori, gli alberi; si perdono gli sguardi amichevoli, si perde bellezza e quel piacere che solo la quotidianità sa regalare. I profumi di un luogo, le risate, il piacere di imparare, il piacere di festeggiare, di pregare non per paura ma per grazia».
Il dramma della guerra affiora in queste pagine anche con lo spettro della fame, che incombe su popoli che importano cibo ed energia dalla Federazione Russa e dall’Ucraina; ma ciò che le pervade è anzitutto la “gratuità”, quella umana e, ancor più, quella smisurata della Terra, che si rigenera in modo sorprendente, anche dopo distruzioni letali durature.
Il 26 aprile 1986 un reattore della centrale nucleare di Chernobyl esplode: la contaminazione radioattiva è 500 volte più potente di quella che distrusse nella Seconda guerra mondiale la città giapponese di Hiroshima. Il bilancio è nefasto: 30.000 morti, mezzo milione di persone sfollate e cinque milioni a rischio di tumore, e migliaia di malformazioni neonatali a causa della radioattività che contamina acqua, flora e fauna. Le foreste diventano secche e rosse, ma dopo 35 anni, nella zona vietata attorno a quel reattore che ancora brucia i vegetali hanno ripreso vita. Le radiazioni alterano in modo letale il Dna degli animali ma non quello delle piante. Così è nata la terza riserva naturale più grande d’Europa.
Le potenzialità rigenerative delle piante sono una sorpresa da contemplare: lontano da luoghi inquinati, erbe, frutti e bacche selvatiche possono diventare cibo gratuito e prezioso quando guerre e carestie prospettano all’umanità lo spettro della fame.
Anche loro sono espressione del divino shalom!