Ha fatto il giro del mondo il video di Malak Alaywe che, per difendersi da un mitra pronto a sparare, si ribella a una guardia del corpo del ministro dell’Educazione.
È l’emblema di una protesta che in Libano è iniziata la sera del 17 ottobre con molti uomini e moltissime donne in piazza a Beirut. Potremmo dire un rivolta scoppiata per futili motivi – l’aumento del prezzo delle chiamate via internet – che ha però radici ben più profonde legate alla crisi economica e non solo.
Le condizioni in cui vivono i cittadini della capitale sono estremamente critiche: stando a una ricerca dell’American University of Beirut, infatti, ben il 93% della popolazione è esposto agli alti livelli di inquinamento dell’aria, esposizione che può condurre a morti premature – nel mondo si stimano circa 2 milioni di morti premature all’anno.
Quello dell’inquinamento ambientale è un problema serio a Beirut. Martedì scorso alcuni manifestanti hanno iniziato una sorta di rivolta pacifica: hanno incominciato a piantare alberi, in una sorta di rivoluzione verde. Un’azione che ha duplice scopo: da un lato aumentare la presenza di verde pubblico che ad oggi è quantificato in solo 0.8 metri quadrati, a dispetto dei 9 suggeriti dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Dall’altro latro, compensare le conseguenze dovute dalla presenza massiccia di vetro e calcestruzzo, che ha portato a un aumento della temperatura della capitale.
Al tema ecologico si aggiungono anche le richieste delle molte organizzazioni femministe che fin dal principio sono scese in piazza a fianco dei i manifestanti, al canto di “la rivoluzione è una donna”. Davanti a uno scenario nazionale di questo tipo e con l’esempio siriano a pochi chilometri di distanza, le donne libanesi munite di candele e bandiere nazionali, hanno dato il loro sostegno alle proteste antigovernative chiedendo cambiamenti urgenti per il loro paese e per il proprio futuro.
Una lotta ancora più intensa perché unisce alle necessità sociali, le esigenze legate alla propria autonomia e ai propri diritti in quanto donne: una legge che le protegga dalle molestie sessuali e dalla violenza sessuale di ogni genere, anche quella domestica. E ancora, una legge per la custodia dei figli che non passi attraverso le corti religiose e infine il diritto delle donne di passare la loro nazionalità ai propri figli.
Un lotta, quella per i diritti, che trova eco in molte altre parti del mondo e - come in Cile, Catalogna e Iraq –a cui cercheremo di dare sempre la nostra voce.