Questa estate la carenza di personale in diversi settori, in particolare in quelli stagionali dell’agricoltura e del turismo, è stata allarmante.
Secondo il rapporto sui fabbisogni occupazionali di Unioncamere Excelsior, per il 2026 si prevede una domanda di circa 4,3 milioni di lavoratori e lavoratrici che in gran parte non verrà soddisfatta per mancanza di candidati e candidate, soprattutto fra coloro che terminano la formazione professionale.
AGRICOLTURA, TURISMO E REDDITO DI CITTADINANZA
Nell’estate 2022 la carenza è prevalsa nei settori dell’agricoltura e del turismo, tradizionalmente caratterizzati da una forte presenza di lavoro straniero.
Quali possono essere le motivazioni?
Dal punto di vista datoriale, l’insieme dei sussidi erogati per la pandemia è spesso sul banco degli imputati, e ancor di più il Reddito di cittadinanza (RdC): si argomenta che, percependo comunque un reddito, le persone preferiscano non lavorare. Si tratta della cosiddetta “trappola della povertà”, per la quale persone con entrate basse, assicurate da un sussidio pubblico, non hanno interesse a iniziare a lavorare perché il lavoro mette a repentaglio quel sussidio.
Se però approfondiamo il funzionamento dell’RdC, appare chiaro che non può costituire l’unica spiegazione della scarsità di personale: è infatti percepito dalla famiglia e non dall’individuo. Il fatto che non abbia natura individuale non spiega come mai, per esempio, persone giovani non cerchino o non trovino lavoro, dal momento che la percezione dell’RdC le riguarda indirettamente. Andando al dettaglio, secondo dati dell’Osservatorio Inps l’importo medio dell’RdC è di circa 566 euro, pur variando anche in base al numero di familiari: è un importo molto contenuto, che non dovrebbe entrare in competizione con salari dignitosi.
SALARI E REDDITO DI CITTADINANZA
Un grafico relativo a dati Ocse mostra che l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea in cui i salari, in termini di potere d’acquisto, sono diminuiti tra il 1990 e il 2020: mentre in Italia sono scesi del 3%, in tutti gli altri Paesi sono aumentati. Nelle repubbliche baltiche, che hanno visto un forte sviluppo dell’economia, sono addirittura più che raddoppiati in trent’anni, mentre in Paesi più simili all’Italia, come Germania e Francia, sono comunque aumentati di circa il 30%. I bassi salari italiani, dunque, sono un fattore che rende meno motivante lavorare: condizioni economiche poco vantaggiose non costituiscono certo un incentivo.
Tornando all’RdC, secondo i dati dell’osservatorio Inps relativi a giugno 2022, cittadini e cittadine straniere costituiscono il 13% delle persone che lo percepiscono. Questa percentuale è leggermente più alta rispetto alla proporzione della popolazione straniera in Italia, circa il 9%, ma se consideriamo che le famiglie straniere sono molto più spesso in condizioni di povertà, è evidente che l’RdC è erogato solo a una parte contenuta di esse, perché un fattore che tende a escludere stranieri e straniere dall’RdC è quello che lo riserva a chi ha almeno 10 anni di residenza in Italia. Di conseguenza è difficile sostenere che l’RdC, da solo, può spiegare la carenza di personale in settori con un tasso anche importante di manodopera straniera.
QUESTIONI CHE ESIGONO ATTENZIONE
La carenza di manodopera in certi settori vede sul banco degli imputati una serie di altre questioni: una su tutte, la questione demografica. Come evidenziato dalla ricerca della Fondazione studi dei consulenti del lavoro Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono, la popolazione in età attiva (tra 15 e 64 anni) è fortemente diminuita: in 3 anni è calata di 636.000 residenti. Inoltre, anche all’interno della popolazione in età attiva è aumentato di 194.000 unità il numero delle persone inattive. Spesso non cercano lavoro perché “scoraggiate”. Questo è avvenuto in particolare nella popolazione straniera, che in genere era la più dinamica sia in termini di attività lavorativa che di ricerca attiva del lavoro.
Altra questione fondamentale relativa alla carenza di personale è il tradizionale divario di competenze: un incontro imperfetto tra quelle di chi cerca lavoro e quelle offerte dal mercato. Rispetto a lavoratori e lavoratrici straniere il problema è ancora più profondo, in quanto spesso le persone immigrate hanno competenze che non riescono a vedersi riconosciute a causa di ostacoli prettamente burocratici. Sono competenze che vanno di fatto perse, almeno in termini economici.
SALARIO E TEMPO LIBERO
Il salario è quanto chi lavora è disposto ad accettare di ricevere per rinunciare a una parte del suo tempo libero. In tal senso la pandemia ha avuto certamente un ruolo importante, in quanto ha dato alle persone il tempo e l’occasione di riflettere sull’uso del tempo e sul senso del lavoro e della frenesia quotidiana. Molte si sono interrogate su quanto sia importante dedicare più ore al “vivere” che al “lavorare” e trovare un equilibrio tra vita e lavoro.
In molti altri casi le persone si sono interrogate anche sulla qualità del loro lavoro; hanno valutato le loro motivazioni e si sono licenziate, spesso senza avere una nuova offerta lavorativa immediatamente disponibile.
Questo fenomeno è noto come Great Resignation. Estremamente diffuso negli Stati Uniti, tra il 2021 e il 2022 è arrivato anche in Italia coinvolgendo soprattutto persone della Generazione Z e Millennials, ovvero sotto i 40 anni di età.
Esaminando alcuni aspetti che hanno condizionato le difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro nella stagione estiva 2022, emerge che il Reddito di cittadinanza non può essere la causa del problema e che il fenomeno ha radici ben più complesse. E se l’RdC può essere uno dei fattori, è anche a causa dell’esiguità dei salari, che in Italia sono talmente bassi da entrare in “concorrenza” con una misura prettamente assistenziale e di importo contenuto.