Chi l’avrebbe detto?
Chi si è mai fermato a riflettere sul fatto che i cambiamenti climatici di cui tutti e tutte siamo più o meno responsabili, assecondano o addirittura implementano alcune forme di schiavitù, soprattutto nei paesi più poveri del mondo?
Eppure, in molti paesi in via di sviluppo la situazione delle donne è influenzata in modo univoco e prepotente da tali trasformazioni. Nel Sud del mondo, infatti, le donne sono spesso responsabili della produzione alimentare, delle coltivazione e della raccolta di acqua dolce e legna da ardere.
Esse, quindi, dipendono direttamente da quelle risorse naturali che per prime subiscono il danneggiamento provocato dai cambiamenti climatici come, ad esempio, condizioni metereologiche estreme o l’innalzamento del livello del mare. Ma le condizioni climatiche non influiscono solo sul loro lavoro, si insinuano soprattutto nella loro situazione sociale.
È ciò che accade, ad esempio, in Bangladesh, una delle zone al mondo più vulnerabili a inondazioni, frane e cambiamenti climatici. Qui, l’innalzamento del livello del mare nel Golfo del Bengala sta irrigando acque salmastre dannose nei vicini campi agricoli e pozzi, con conseguenti perdite nella produzione agricola.
È nelle realtà rurali, quelle più povere e devastate dai cataclismi, che il matrimonio sembra essere l’unica soluzione per risolvere i problemi economici di una famiglia ed è considerato dai genitori e dalla legge una forma di protezione per le proprie figlie, ancora bambine. Per questo motivo in Bangladesh il 66 % delle ragazze si sposa prima dei 18 anni e più del 30 % prima dei 15 anni.
Non c’è spazio per la scuola: l’istruzione, soprattutto quella femminile, è considerata superflua perché le famiglie ritengono più utile un buon matrimonio e con il progressivo innalzamento del livello del golfo, questo problema potrebbe solo peggiorare.