Da 30 anni il Sudan soffre l’oppressione del regime islamista di Omar al-Bashir.
Delle sofferenze di questi popoli i nostri giornali non parlano.
Ma in questo ultimo periodo le donne sudanesi stanno reagendo. E la loro voce deve essere ascoltata.
A dicembre il Sudan era colpito da una delle peggiori crisi economiche di sempre, ma proprio il gravoso aumento del costo della vita ha scatenato le proteste.
Come spesso accade nelle crisi, le famiglie povere erano quelle più colpite. Questo ha spinto le donne a organizzarsi per reagire.
Attraverso Whatsapp e Facebook hanno iniziato a radunare persone per manifestare contro il regime autoritario. I gruppi, accessibili solo tramite una rete privata virtuale (VPN) dopo che il governo ha bloccato i social media, fanno parte della risposta a un brutale giro di vite contro le proteste anti-governative che hanno spazzato il Paese da dicembre.
Da oltre tre mesi movimenti non violenti sfidano la violenza del regime. La voce delle donne: dottoresse, avvocate, studentesse, insegnanti e mamme casalinghe, si è alzata per le strade di Nairobi al grido di #SudanUprising.
Lo “Zagrouda“ (il canto delle donne) è diventato il segnale di richiamo per le proteste nelle strade. Quando le persone sentono queste voci femminili sanno che si tratta di una chiamata alla rivoluzione e che è ora di iniziare la loro marcia.
Una marcia che sempre si scontra con munizioni, lacrimogeni e manganelli.
Ma le donne continuano a marciare, incoraggiando anche i loro compagni maschi a rimanere in prima linea. Un sostegno, quello della donna verso il marito, che è parte della tradizione sudanese, ma che questa volta ha una sfumatura diversa. Una visione più moderna, più femminista che spinge le donne a mettersi in prima linea e non stare nelle retrovie.
Questa coraggiosa leadership femminile, però, viene raramente riconosciuta dai media. Quando se ne parla, queste donne sono viste partecipare alle proteste come compagne, non come vere organizzatrici e leader.
La reazione contro queste proteste è crudele e concreta. Alcuni agenti della sicurezza hanno diffamato diverse donne su Internet chiamandole “prostitute” per essere scese in piazza, mentre altre sono state sottoposte a varie forme di violenza.
Le attiviste però non percepiscono queste repressioni come parte di un modello regionale imbattibile. Questa volta le donne vogliono vincere. E tutti noi dobbiamo difendere queste coraggiose attiviste che stanno smantellando le strutture ingiuste del Sudan.