Venerdì 9 novembre è stata inaugurata l’opera murale voluta dal Comune di Silius e dall’associazione “Minatori e memorie del Gerrei”, realizzata da quattro artisti, tra cui due donne Valerie Nave ed Emma Rubens. Nell’area di Gerrei esisteva la miniera di Genna Tres Montis, la principale fonte di reddito per la gente del posto e non escluse le donne, ovviamente più sfruttate rispetto agli uomini ed a condizioni di salario molto inferiori, che erano impegnate con la cernita del materiale estratto. Oggi l’attività estrattiva é cessata, ma non la memoria di chi ci lavorò a condizioni disumane, soprattutto tramandata da madre a figlia: quel murales serve ai contemporanei ed alle generazioni future per la valorizzazione della storia del lavoro femminile trascurato.
Per secoli ovunque in Europa le donne hanno lavorato nelle miniere, rimettendoci la salute, più spesso la vita, eppure in generale la loro presenza così come il loro contributo allo sviluppo dell’industria mineraria é pressoché sconosciuto a tutto vantaggio di quello maschile. Cominciavano a lavorare nelle miniere giovanissime, subìvano i ricatti dei loro superiori ed una volta ingravidate a seguito delle violenze sessuali usate da costoro erano abbandonate, emarginate dalla società. I livelli di scolarizzazione erano quasi del tutto inesistenti, sovente erano familiari di minatori in vita, affetti da malattie professionali non riconosciute e vedove. Se in generale la cultura delle norme di sicurezza era inesistente, nessuna cautela veniva posta a tutela della loro salute, neanche durante la gravidanza, addirittura erano costrette a lavorare fino al parto, altrimenti perdevano il lavoro. Le condizioni di promiscuità alimentavano la loro cattiva reputazione difforme dai canoni dell’epoca, dalle donne si pretendeva una maggiore produttività, anche se erano ancora più sottopagate rispetto agli uomini e nonostante ciò consentiva loro una certa indipendenza economica.
La storia del lavoro é contrassegnata dallo sfruttamento delle classi sociali meno abbienti, particolarmente dalle discriminazioni a svantaggio delle donne, dalle conquiste esiti di lenti progressi e dagli incidenti. Nel marzo del 1913 in Sardegna presso la miniera di Genna Arenas, Buggerru, a causa del cedimento di un carico quattro donne persero la vita: Laura Lussana di vent’anni, madre di tre figli; Anna Rosa Murgia trentatrenne; Anna Pina ventiquattrenne, attivista della lega dei minatori e Maria Saiu di trentasei anni, appena sposata ed incinta. Tra le persone ferite ci furono Mariangela Zoccheddu ed Assunta Algisi, tutt’e due di trentatre anni. Nel maggio 1871 a causa del crollo del tetto di una baracca della miniera di Montevecchio perirono undici donne: A queste povere vittime è stata ridata memoria grazie al libro di Iride Peis Concas Donne e bambine nella miniera di Montevecchio. Nel 1951 proprio in Sardegna, a Guspini si svolse un convegno finalizzato all’organizzazione della nascente “Associazione Donne delle Miniere”, in gran parte formato dalle mogli di minatori e dalle mineratrici. Alla direzione della società mineraria di Montevecchio avanzarono un programma con alcune richieste precise, tra cui l’assistenza medico-ospedaliera alle famiglie dei lavoratori, gli alloggi ed adeguate condizioni di lavoro nonché le misure di sicurezza. Il loro impegno si rivelò determinante anche per la riuscita dello sciopero a Montevecchio del 1961. Riguardo il lavoro nelle miniere Rosas. Una miniera nella Sardegna contemporanea, libro scritto da Sabrina Sabiu conferma ulteriormente alcuni aspetti comuni evinti da altri studi: l’età prepuberale delle lavoratrici, lo sfruttamento con compensi pari a meno della metà a quelli destinati agli uomini ed a condizioni disumane.
Se si vuole volgere lo sguardo oltre i confini del nostro paese, la situazione non ha differito di molto. In gran parte d’Europa tra il diciottesimo secolo ed il diciannovesimo la situazione é progressivamente mutata, anche se lentamente, con l’adozione di leggi, che vietavano il lavoro femminile presso le miniere, ma in realtà le donne continuarono a lavorarci essendo quel tipo di occupazione la loro unica fonte di sostentamento.
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