Venerdì, 29 Gennaio 2021 16:43

Disuguaglianza lavoro: di più se “straniera”

A che punto siamo in termini di uguaglianza tra maschi e femmine?

Per affrontare la questione ci viene incontro l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, che ogni anno, pubblicando il Rapporto sull’indice dell’uguaglianza di genere, aggiorna i dati per tutta l’Unione Europea e per ogni singolo Stato membro.
L’indice complessivo, pubblicato l’ottobre scorso e relativo al 2018, è di 67,9 su 100 (considerando 1 la situazione di massima disuguaglianza e 100 la situazione di completa uguaglianza): emerge un valore che cresce molto lentamente, di circa mezzo punto percentuale l’anno: di questo passo, la parità sarà raggiunta tra circa 60 anni.
L’indice esprime la sintesi di 6 diversi ambiti: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere, salute.

Partecipazione e qualità “a segmenti”
Per quanto riguarda il lavoro, nel Rapporto vengono analizzati due aspetti: la partecipazione al mercato del lavoro e la qualità del lavoro. Il primo aspetto verifica se le persone lavorano o meno, e per quanti anni durante la loro vita attiva, mentre il secondo verifica il tipo di lavoro effettivamente svolto e quanto sia “sicuro” e di qualità.
Le donne assumono più spesso lavori temporanei, precari e part-time, cosa che si riflette sul reddito e sulla pensione.

A livello europeo i dati sul lavoro sono segmentati anche per specifici gruppi di donne, la cui situazione peggiora ulteriormente se appartengono a specifiche minoranze. Per questo motivo è necessario ragionare in un’ottica intersezionale, nel senso che il genere non è l’unico fattore che acuisce la diseguaglianza. Essa è correlata anche ad altri fattori, come l’etnia, l’età, la disabilità, il livello di istruzione. Ultimamente si parla persino di maternity gap, cioè dello svantaggio che affrontano le donne con figli rispetto a coloro che non ne hanno, mentre la paterni-tà per gli uomini comporta addirittura vantaggi in ambito lavorativo, perché quando diventano padri tendono a la-vorare di più, anche perché sia loro che chi li assume pensano che “devono mantenere la famiglia”.

Progressi difformi
Tra il 2010 e il 2018 è molto migliorato il tasso di partecipazione delle donne nel lavoro a tempo pieno e si sono ridotte le differenze tra maschi e femmine, sia come percentuale di donne occupate, sia rispetto alla durata della vita lavorativa. Non si sono però registrati miglioramenti nell’ambito della “segregazione” e della qualità del lavoro. La prima riflette che alcuni settori lavorativi sono a netta maggioranza femminile o maschile: istruzione, settore sanitario e lavoro sociale in particolare sono a forte prevalenza di donne, mentre il settore Ict, che riguarda l’informazione e la comunicazione tecnologica, è a prevalenza maschile.

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Last modified on Venerdì, 29 Gennaio 2021 16:49

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