A un anno dal suo inizio, il Progetto Aisha si sta consolidando nel capoluogo lombardo, dove ha sviluppato anzitutto un’assistenza discreta e fattiva alle donne musulmane vittime di violenza domestica.
«Grazie alle nostre differenze riusciamo ad approfondire le tematiche del progetto da prospettive diverse», dice Sara Sayed, del team di coordinamento, costituito da sei donne di età compresa fra i ventidue e i quarant’anni, di fede islamica e con radici algerine, egiziane, palestinesi, siriane e anche italiane.
Sara spiega i piccoli passi compiuti in vari ambiti, grazie soprattutto a tanta dedizione e a un forte spirito di collaborazione: «Prima di questo progetto, nella nostra comunità non c’erano referenti cui le donne potessero rivolgersi per un’assistenza».
Con tanto rispetto
«Fino ad ora abbiamo preso in carico dieci donne musulmane di varie provenienze, che seguiamo individualmente. Grazie alla collaborazione gratuita di consulenti esterni provvediamo loro supporto psicoterapeutico e legale, sia civile che penale. Si tratta di donne della comunità islamica, che non hanno coltivato molti contatti con il territorio e non sanno a chi rivolgersi. Oltre a incontrarle personalmente, riusciamo anche a mediare fra loro e la rete antiviolenza o i servizi sociali territoriali».
Le differenze di approccio sono molto marcate da caso a caso: anche la durata dell’accompagnamento delle donne maltrattate varia in modo considerevole.
«Noi del team provvediamo un supporto e un accompagnamento individuale, perché queste donne desiderano mantenere l’anonimato. Fino ad ora non si incontrano come gruppo e non si conoscono fra di loro. Stiamo cercando di avviare laboratori di arte-terapia, con attività di disegno, danza, cucito, per aggregarle in un gruppo di sostegno, che sarebbe molto importante anche per uno scambio di esperienze. Ma procediamo con prudenza, per rispettare la loro esigenza di rimanere anonime. Una questione delicata, di mentalità».
Formazione inclusiva
La sensibilizzazione della comunità islamica per prevenire la violenza sulle donne sta procedendo in collaborazione fra uomini e donne. Per gli incontri formativi del Progetto Aisha le sei donne sono affiancate da cinque referenti uomini, fra cui l’imam della moschea di Cascina Gobba.
«La presenza degli uomini è essenziale – precisa Sara – per coinvolgere al meglio la comunità islamica nel suo complesso, raggiungendo la sfera maschile e femminile».
A marzo è organizzato un incontro sull’arte del matrimonio, con attenzione alla figura maschile nella vita di coppia, e un laboratorio esperienziale per giovani musulmani sulla violenza di genere.
Per il mese di settembre sono in programma altri incontri sulle stesse tematiche, ma i passi sono lenti: «Nel team di coordinamento siamo solo sei, ognuna con il proprio lavoro, studi e famiglia. Facciamo quello che possiamo…».
Una grande sfida: le mutilazioni
Le forme di violenza più difficili da affrontare sono le mutilazioni genitali femminile, particolarmente radicate in alcune culture. Nei mesi scorsi si sono svolti corsi di formazione per gruppi di operatori e operatrici sociali individuati all’interno della comunità islamica: con la collaborazione di ActionAid i partecipanti hanno acquisito tecniche e metodologie per interventi immediati nelle famiglie. Organizzati i piccoli gruppi di uomini e di donne, cercheranno di contrastare le pratiche tradizionali di mutilazione inferte a bambine, ragazze e donne giovanissime. Ma l’impresa è ardua.