L’economia sostenibile? «Io la chiamerei “economia di futuro”, perché riguarda l’avvenire del Pianeta e i nostri figli», del resto «la finanza, come tutti gli strumenti, può essere utilizzata per fini diversi, chi dà potere alla finanza siamo noi. Si possono avere utili anche mettendo la persona al centro dello sviluppo», per questo è tanto importante far crescere «i fondi etici», cioè quelle forme di investimento che tengano conto di determinati parametri sociali e ambientali escludendo, per esempio, settori come il gioco d’azzardo, lo sfruttamento minerario o i titoli petroliferi e scegliendo invece i «fondi decarbonizzati».
E se la biodiversità fa bene all’ambiente, lo stesso vale per la finanza, nella quale si devono affermare una pluralità di soggetti economici e di investimenti capaci di limitare gli interessi speculativi oggi dominanti. Un concetto ripreso pure dal Documento incentrato su etica e finanza diffuso dal Vaticano; su tutti questi temi del resto la Dottrina Sociale della Chiesa può giocare un ruolo importante.
È quanto spiega a Vatican Insider, suor Alessandra Smerilli delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che insegna Economia politica alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilium” di Roma oltre a far parte di numerosi organismi impegnati nella promozione della finanza etica. Di recente ha pubblicato il volume Pillole di economia civile e del ben vivere, curato da Laura Badaracchi e con la prefazione di Stefano Zamagni, edito da Ecra. Tutela dell’ambiente, rispetto dei diritti umani e sociali «nelle imprese e negli Stati» in cui si realizzano gli investimenti, una governance che scongiuri le concentrazioni di potere in poche mani e favorisca la presenza femminile ai vertici: sono questi alcuni dei principali punti di riferimento per una simile impostazione. E le cose stanno cambiando anche se queste opzioni riducono la quantità di titoli sui cui è possibile investire, perché «oggi sta diventando un po’ di moda essere selezionati da qualcuno di questi fondi etici, diventa un fattore di promozione d’impresa».
Professoressa Smerilli, ma non c’è anche una corsa di gruppi finanziari, grandi banche, ad accaparrarsi le risorse naturali che saranno indispensabili nel prossimo futuro, come l’acqua?
«Ci sono grandi imprese multinazionali che lavorano nel campo delle risorse idriche e lo fanno in un’ottica di sostenibilità ambientale, un atteggiamento che viene premiato dagli investitori. Quindi, seppur queste scelte vengano compiute magari per convenienza, ci si sta indirizzando a seguire questa strada».
Attenzione al modello di governance, diritti, ambiente: esiste quindi la possibilità di un’economia sostenibile? Lei come la definirebbe?
«Io parlerei di un’economia di futuro. Se vogliamo un futuro per il nostro Pianeta bisogna rendersi conto che bisogna passare per questo tipo di scelte. Tutto questo è possibile perché gli investitori e le società che fanno finanza hanno cominciato a capire. Per cui, oltre a chi si occupa di risparmio gestito e fa della finanza etica il nucleo della propria mission, ormai tante società stanno aprendo dei comparti etici, consumatori e risparmiatori diventano infatti più esigenti; in Italia però si va un po’ al rallentatore perché ancora l‘educazione finanziaria su questi temi non è molto diffusa; dovrebbe insomma aumentare la consapevolezza di chi quei prodotti li deve comprare senza stare più a guardare allo “zero virgola per cento” di rendimento in più ma anche a tutto il resto, cioè a cosa vuol dire anche per sé stessi fare investimenti di un certo tipo, magari anche per i propri figli».
Di recente, nell’ambito della presentazione della Fondazione “Quadragesimo anno”, è stata lanciata la proposta di una «certificazione conforme alla Dottrina Sociale della Chiesa», una sorta di rating cattolico; come la valuta?
«Può essere un’idea su cui lavorare e mi pare un’idea importante. Nel senso che la Dottrina Sociale della Chiesa altro non è che un insieme di insegnamenti che pongono al centro la persona e il bene comune e quindi lo sviluppo visto in un’ottica di bene comune. La Laudato si’ è apprezzatissima non solo in un ambito cattolico, ma da parte di studiosi da tutto il mondo che riconoscono l’importanza delle tematiche trattate in quest’enciclica. E allora il punto è – e si tratta sempre della cosa più difficile - passare dai principi all’operatività; queste certificazioni dovrebbero partire dai principi e andare a trovare gli indicatori che corrispondono a quei determinati principi dentro le imprese, dentro gli Stati. È un’operazione complessa ma non impossibile. Anche perché abbiamo degli esempi di alcune società che già lavorano in questo senso, per esempio quella con cui io collaboro, “Etica Sgr”, utilizza 65 indicatori per costruire i propri punteggi; c’è un team di persone che lavora monitorando le imprese ogni sei mesi per valutare il rispetto di questi principi. Quindi non è impossibile. Si può fare e sarebbe cosa utile».
Cosa intende per economia civile?
«L’economia civile è una tradizione di pensiero economico che affonda le sue origini nell’illuminismo e nell’umanesimo rinascimentale; l’obiettivo è quello di mettere al centro la persona e affermare che nell’economia possono essere importanti anche la fiducia, la gratuità e la reciprocità. Intendendo il gratuito non come il “gratis”, ma come spirito che ci muove a fare le cose. Un altro aspetto fondamentale nella prospettiva dell’economia civile è dire che non esiste solo la dialettica Stato-mercato, ma c’è pure una società civile che può essere importante anche dal punto di vista economico. In Italia quello che chiamiamo “terzo settore” in realtà è un primo settore anche per mole di lavoro e bisogni a cui risponde. E quindi non si può pensare il mondo semplicemente dicendo: il mercato crea le “torte” e lo Stato ridistribuisce. C’è una società civile che, come sta avvenendo nella finanza etica, contribuisce al fatto che le “torte” siano create in un certo modo, stando attenti cioè a come viene creata la ricchezza non solo alla sua quantità. Un’economia che dal di dentro può creare un sistema sostenibile».
Ma come si fa a portare le forze della finanza internazionale su questa strada?
«Attenzione: che la finanza etica stia funzionando lo dimostra il fatto che uno dei più grandi fondi d’investimento a livello mondiale, “Black rock”, sta cominciando a interessarsi a tematiche di sostenibilità, il che spiega bene come pure loro stiano capendo, sia pure non per ragioni intrinseche, che bisogna prendere questa strada».
Ma allora c’è bisogno anche di una mobilitazione dell’opinione pubblica…
«Esattamente. C’è bisogno che ci si renda conto in tanti della situazione e che si premino certi investimenti a scapito di altri, perché questo spinge le imprese ad andare in determinate direzioni».
Viviamo però gli anni in cui la finanza governa il mondo. Sembra una forza primordiale che si muove secondo interessi propri…
«Questo tema si lega molto alla questione delle diseguaglianze e della concentrazione della ricchezza a livello mondiale. Dagli ultimi rapporti Oxfam sappiamo che ci sono 8 persone al mondo che posseggono la ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, 3,6 miliardi di persone. È chiaro che queste situazioni sono insostenibili, vanno denunciate. E anche qui, però, ci sono delle cose da fare. Per esempio, in Italia, abbiamo una tradizione che è quella delle casse rurali, del credito cooperativo che, per statuto, all’articolo 2, fanno riferimento ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa. Si tratta di banche che cercano di investire sullo sviluppo del territorio e non altrove. E allora pure la legislazione dovrebbe comprendere un po’ di più questa cosa, perché in questo senso ciò che serve è la biodiversità anche bancaria; negli Stati Uniti esistono quattro forme, quattro tipologie, di banche, in Europa c’è una legislazione che vorrebbe tendere a raggruppare tutto nella forma della Spa. Chiediamoci se questo favorisce veramente lo sviluppo oppure no. Noi sappiamo che in natura quando si perde la biodiversità i sistemi implodono. Forse varrebbe la pena fare una riflessione sulla biodiversità anche in ambito finanziario e quindi tutelare quelle forme di organizzazione che non possono essere vessate da richieste e da norme che si applicano solo a grandissimi gruppi. È necessario che ci siano sistemi, a seconda della tipologia di impresa bancaria, che possano sopravvivere sul mercato».
Forse è questa una delle ragioni della crisi dell’Europa, questa sorta di “monocoltura” in ambito finanziario?
«C’è questo rischio e secondo me qui c’è bisogno di un movimento di opinione pubblica e di studi seri che mostrino come stanno le cose. Prendiamo un classico modo di dire, “too big to fail”, troppo grande per fallire; secondo questo principio bisogna per forza essere grandi per poter resistere in questo mondo. Ma questo non è sempre vero, e allora c’è bisogno di chi studi in modo serio quali sono le alternative, e va coltivata una differenza di pensiero in quest’ambito perché sarebbe non solo arricchente ma a favore dello sviluppo».
In proposito, il Papa, parlando al Parlamento di Strasburgo, fece riferimento ai padroni sconosciuti degli imperi finanziari…
«Ecco, noi vorremmo che fossero conosciuti e che fossero anche diversi fra di loro, che ci fosse diritto di cittadinanza per tutte le forme».